lunedì 20 aprile 2020

Il potere delle conversazioni nei primi anni di vita

Chi ci conosce e segue da anni, sa quanto la scelta di intitolare il nostro libro Nati per raccontare non sia affatto casuale, perché senza alcun dubbio, crediamo da sempre nell'immenso potere della narrazione orale. Non solo, siamo sempre stati fermamente convinti che raccontare sia un'esigenza primaria di fondamentale importanza per lo sviluppo della persona. Pertanto, stimolando precocemente il pensiero narrativo nei bambini, si potenzia anche il loro pensiero logico e quello critico, come ci insegna la neuroeducazione che negli ultimi anni sta svolgendo un ruolo importantissimo in pedagogia. 
La neuroscienziata e pediatra Kimberly Noble definisce ambiente linguistico di una famiglia il numero di parole ascoltate dai bambini e il numero delle conversazioni a cui partecipano ogni giorno e ritiene che questa sia per loro l'esperienza più utile a sviluppare il connettoma e a migliorare la capacità di apprendimento. Secondo la Noble, nei primi anni di vita, i bambini avvantaggiati ascoltano in media trenta milioni di parole in più rispetto ai loro coetanei svantaggiati. I bambini, sollecitati da conversazioni attive, tendono ad avere una maggiore estensione delle aree responsabili delle abilità linguistiche e di lettura. È importantissimo, quindi, facilitarli alle conversazioni piuttosto che al solo ascolto. 
L'economista Irene Tinagli dice che il maggior divario cognitivo si ha nella fascia di età al di sotto dei cinque anni; è in questa fase che i bambini iniziano ad apprendere parole e linguaggi, a sviluppare e “organizzare” le attività cerebrali e cognitive e, soprattutto, a interagire col mondo esterno, acquisire socialità, curiosità e sicurezza in sé stessi. Ed è in questo periodo che il background familiare e le scelte educative fanno la differenza... Se dalle università escono il 15% di professionisti, dall’infanzia esce il 100% del nostro futuro. 
In Spiriti animali, Akerlof e Shiller scrivono: «La mente umana è progettata per pensare in termini narrativi: sequenze di eventi con una logica e una dinamica interna che ci appaiono come un’unità di senso compiuto. [...] La conversazione umana, come sottolineavano Schank e Abelson, tende ad assumere la forma di racconto reciproco». È capitato a tutti: quando una persona sta raccontando una storia, l’altra che ascolta pensa a una storia correlata che racconterà a sua volta e si innescherà così uno scambio di storie tra i due interlocutori, come se stessero giocando una partita di tennis. Solo in apparenza casuali, queste narrazioni reciproche, in realtà, rinforzano e sono centrali per l’intelligenza, perché hanno il potere di animare l’azione umana. Capita più spesso di quanto si pensi e a volte in maniera involontaria, di zittire i bambini nel momento in cui vogliono entrare nella conversazione con un adulto che sta parlando e questo è un errore che può causare grandi inibizioni nel bambino che possono rimanere salde nei suoi comportamenti futuri. Un esempio per noi molto bello da riferire è quando, nei nostri laboratori scolastici paragoniamo, la narrazione alla discesa lungo una scala molto ripida e i bambini, in seguito a questo stimolo, iniziano spontaneamente a raccontare le loro esperienze di scale molto ripide in una maniera meravigliosamente inarrestabile. Fermare queste conversazioni sarebbe catastrofico, non solo per la riuscita del laboratorio, ma soprattutto per l'autostima e la fiducia che i bambini in questi momenti stanno sperimentando. Purtroppo abbiamo assistito a tante situazioni, anche durante presentazioni di libri, in cui gli adulti stoppano sul nascere il dialogo che un bambino vorrebbe iniziare e su questo auspichiamo davvero un'attenzione maggiore da parte di tutti. 
Nel capitolo di Nati per raccontare che abbiamo dedicato all'educazione attraverso la narrazione, si può leggere che l’intelletto dei bambini, stimolato precocemente attraverso dalle storie, diventa più vivace e inoltre educare al racconto potenzia la personalità e genera apertura mentale. I rapporti interpersonali in ambito familiare, scolastico, professionale e sociale migliorano grazie a una narrazione condivisa che riesce a interpretare i sentimenti, i valori, i bisogni reciproci e ad attivare la fiducia, un elemento essenziale nella costruzione del proprio sé e nella percezione dell’altro. Dare fiducia alle narrazioni che ispirano renderà il mondo migliore. 
Dario Amadei e Elena Sbaraglia

*Nati per raccontare, Castelvecchi editore, 2020

sabato 18 aprile 2020

Sentirsi parte di una comunità durante e dopo l'emergenza

Tra il dolore per la solitudine, l'inimmaginato che è diventato realtà e il coraggio di guardare oltre, questa emergenza mondiale che stiamo vivendo ha sicuramente messo l'accento su un dato innegabile, cioè quello del senso di appartenenza, che forse è la risposta che serve alle incertezze che si vivono nel privato e nel lavoro. Abbiamo sempre fatto parte di una comunità, ma in questo periodo la sentiamo fortemente nostra perché psicologicamente ci sostiene. In questo preciso momento storico, siamo una grande famiglia allargata, perché il singolo individuo percepisce di essere maggiormente esposto al pericolo ed invece nella comunità sente di potersi esprimere in obiettivi condivisi e di poter contare su una solidarietà spontanea. In questo particolare momento storico, l'identità comunitaria non si crea con il contatto fisico, ma virtuale e questo basta, perché come diceva lo psicologo Seymour Sarason è la percezione della similarità con gli altri che fa sentire di appartenere ad una struttura affidabile in cui riconoscersi. Ed è così che assistiamo a case editrici che adottano librerie, ad industrie della moda che riconvertono la loro produzione, a professionisti che mettono a disposizione degli altri il loro talento, a educatori ed insegnanti che si rimodellano digitali per mantenere le relazioni e il lavoro con i loro allievi, a tutta la comunità medico-scientifica che, ininterrottamente, lavora per la nostra salute, alle singole persone che si organizzano in piccoli nuclei per dare sollievo ad altri con quello che hanno, alla comunità della filiera produttiva che in questo momento non ci ha fatto mancare i bisogni primari e alla comunità delle forze dell'ordine che ci fanno sentire al sicuro. È questa autorganizzazione spontanea che ci fa essere una comunità che non lascia solo nessuno nel momento del bisogno. 
Nel nostro nuovo libro “Nati per raccontare”, uscito a febbraio di quest'anno, in un capitolo affrontiamo l'importanza di sviluppare il senso di appartenenza in ambito professionale come fonte di benessere e ora più che mai, nel pensare al dopo pandemia, è fondamentale occuparsene con costanza e impegno, perché si tornerà nei luoghi di lavoro con un carico emotivo non indifferente. La società moderna post emergenza richiede, in tutti gli ambiti, ma soprattutto in quello organizzativo, nuove strategie di adattamento e rinnovamento, nonché la capacità per chi lavora di riuscire a reinventarsi per inserirsi in situazioni che mutano continuamente.
Tutti i contesti lavorativi (fabbriche, open-space, servizi educativi per l'infanzia, scuole, ospedali, istituzioni) devono essere luoghi deputati al benessere dove ricaricarsi, comunicare, crescere e formarsi per riuscire a ottimizzare anche la produttività. Gli strumenti in cui noi crediamo, utili a instaurare questo clima organizzativo, sono naturalmente la bibliolettura interattiva e la narrazione creativa, perché stimolano e sviluppano l’intelligenza emotiva di chi ne fruisce. Concedersi il piacere di leggere, condividere ciò che si è letto e narrativizzare delle storie è salutare. Leggere sicuramente riduce lo stress, come ci spiega il neuropsicologo David Lewis: “non importa che tipo di libro si scelga di leggere, perdersi nella lettura di un qualsiasi testo coinvolgente consente di evadere dalle preoccupazioni e dallo stress quotidiano. È più di una semplice distrazione, parliamo di un’attività che coinvolge l’immaginazione perché le parole stampate sulla pagina stimolano la creatività e fanno entrare in uno stato di coscienza parallelo”. La facilità di immedesimarsi nelle storie che si leggono migliora i livelli di coinvolgimento emotivo e la capacità di ascolto e di analisi, rendendo efficaci i rapporti tra i colleghi. Chi trascorre il tempo dedicandosi ai romanzi dimostra apertura e una notevole flessibilità mentale e si sente a proprio agio con le ambiguità, perché la lettura agevola il processo di comprensione delle varie informazioni acquisite. Queste qualità, o skills, naturalmente si riflettono nell’ambiente lavorativo, dando alla persona quella sicurezza nel prendere le decisioni più utili ai fini esecutivi. Non solo nelle classi scolastiche, ma anche nei contesti lavorativi, i gruppi si trovano a vivere delle dinamiche che la narrazione creativa e la bibliolettura interattiva, andando a stimolare i punti giusti, possono aiutare ad affrontare.
Sempre attraverso i romanzi, si può ragionare sulla leadership, o si può indagare la menzogna o l’inganno per riflettere sulla scelta delle persone di fiducia, ma soprattutto i romanzi possono accendere quelle scintille che generano la creatività e fortificano l’identità. Seguendo le orme indelebili di Adriano Olivetti, ogni organizzazione dovrebbe dar vita a una biblioteca aziendale, è un investimento che tornerà utile al capitale umano oltre che ai profitti. La chiave per capire se esiste o meno una cultura, ci direbbe Edgar Schein, è cercare la presenza di esperienze condivise e di un comune bagaglio culturale.
Elena Sbaraglia


*Nati per raccontare, Castelvecchi editore, 2020