venerdì 27 giugno 2025

La magica stanza delle meraviglie

Lavorando quotidianamente con le bambine e i bambini del Polo Zerosei siamo sempre più convinte dell’importanza di una buona e funzionale organizzazione e cura degli spazi, in relazione proprio ai bisogni dei bambini, che devono sentirsi accolti e totalmente a loro agio. Come educatrici di Nido e docenti di Scuola dell’Infanzia abbiamo il delicato compito di offrire loro stimoli e opportunità, volti a favorire in ciascuno la curiosità, la possibilità di esplorare e sperimentare, la creatività e la libertà di esprimersi, ma anche la capacità di sviluppare reciproche relazioni. Condividiamo pienamente le parole del grande pedagogista Loris Malaguzzi: «lo spazio deve essere progettato e predisposto per garantire che tutti i bambini e gli educatori si sentano a loro agio e sviluppino il piacere del fare insieme».
Muovendoci pertanto su questa scia abbiamo toccato con mano, vedendone gli effetti e i soddisfacenti traguardi raggiunti, l’importanza in questo contesto educativo della “stanza delle meraviglie", detta anche stanza immersiva. Iniziata l’esperienza già un paio di anni fa, ci siamo sempre più consolidate in questo percorso, grazie alla solida formazione che ci supporta e ci orienta e grazie all’impegno e alla passione educativa di tutte. Partendo inizialmente con una sola stanza, collaborando con un buon lavoro di squadra, l’abbiamo arredata e attrezzata, trasformandola in un ambiente corredato di luci, suoni, profumi e colori, tenui e rilassanti, un’ampia parete ricoperta totalmente di un telone bianco, sul quale proiettare video e immagini con l’ausilio del videoproiettore.
Quest’anno, in cui il tema di fondo di tutto il percorso annuale del nostro Polo ZeroUndici era centrato sul cielo, la stanza delle meraviglie ci ha permesso di offrire ai bambini esperienze veramente immersive ed entusiasmanti. Proiettando video ambientati nello spazio, tra le costellazioni e i pianeti del sistema solare, i nostri mini esploratori si sono trasformati ogni volta in piccoli astronauti, sempre più desiderosi di conoscere e di scoprire i segreti dello spazio che li affascina tantissimo. Molto utile e costruttiva è stata anche l’esperienza della stanza nei vari periodi stagionali dell’anno, in cui i bimbi si sentivano veramente immersi nella realtà che si presentava sotto i loro occhi e che li faceva balzare in piedi, accostarsi alla parete e toccare le immagini, accompagnando questi gesti con gridolini ed espressioni di meraviglia.
La caratteristica fondamentale dell’aula immersiva è proprio quella di trasformare un ambiente di apprendimento statico in un ambiente di apprendimento virtuale in cui i bambini interagiscono con gli elementi dello scenario, usando la tecnologia in maniera intelligente e costruttiva, non dominante ma interagente con gli altri linguaggi.
Molto importante in queste esperienze è la preparazione, di volta in volta in volta, di un setting adeguato: un telo sul pavimento cosparso di oggetti ed elementi naturali legati alle immagini e al contesto, oggetti con i quali, dopo la proiezione, i bambini possano interagire, cogliendo tutte le sensazioni sensoriali che percepiscono, costruendo ciò che la loro fantasia suggerisce, commentando nel frattempo fra loro e con le educatrici o maestre, le loro percezioni.
Il coinvolgimento dei genitori, invitati nel corso dell’anno a vivere con i loro bimbi pomeriggi di proiezione e attività sensoriali nella stanza immersiva, è stato sempre carico di emozioni e momenti molto toccanti. Abbiamo notato che ad alcuni brillavano gli occhi e qualche lacrima…scendeva furtivamente.
Entusiaste della validità di questa esperienza educativa e didattica di alta qualità, abbiamo deciso di trasformare un’altra aula in stanza immersiva e ne stiamo preparando l’allestimento con passione. Un altro bellissimo anno, carico di intense emozioni da vivere insieme ai nostri bambini, ci aspetta!
Suor Mariapaola Campanella, Istituto San Francesco di Sales

giovedì 26 giugno 2025

Equilibri narrativi per custodire emozioni

“Luna: maestra, maestra, fuori al cancello c’erano due signori che litigavano, erano due grandi, una femmina con i capelli lunghi lunghi e un maschio con la barba e gli occhiali e strillavano…
Sara: si li ho visti pure io e mamma mi ha tirato il braccio e mi ha detto di non guardare
Mia mamma, invece, è andata lì vicino e ha detto che si dovevano spostare perché non si può strillare come matti davanti ad una scuola
Maestra: mi sembra di capire che vi siete spaventate/i, certo, è molto brutto vedere che due persone sono così arrabbiate. Avranno avuto un motivo per litigare, come accade anche a voi quando non riuscite a condividere un gioco, o volete avere ragione a tutti i costi!
Sì, però quelli avevano una voce troppo alta, anzi altissima e pure gli occhi di fuori!
Purtroppo, quando si è molto arrabbiati, capita che non si riesca a crollare la rabbia, e così anche la voce e le parole, e certo non sono parole gentili.
Alessio: come la lava quando esce dal vulcano?
Maestra: si, hai trovato un buon esempio per spiegare come può essere rappresentata la rabbia…
Ludovica: sì, ma la lava scotta, brucia tutto, anche se è liquida.
Christian: è un’acqua rossa bollente che non si ferma fino a quando non si ferma il vulcano.
Alessio: ma tipo che si calma?
Maestra: in un certo senso potremmo dire di si
Luna: però il vulcano è una montagna non una persona, non si può arrabbiare da solo! E poi una montagna non parla, mica può litigare con qualcuno? Mica c’ha la voce? Non può strillare forte come quelle persone fuori al cancello.
Maestra: questo litigio vi ha proprio turbato…e allora cerchiamo di capire tutte e tutti insieme perché…
Tanto, nel frattempo, sono quasi le 09.00; chi sta giocando, con calma può iniziare a concludere e noi invece possiamo mettere già le sedie in cerchio. Che ne dite se prima di fare i responsabili, parliamo un po’ di quello che avete visto fuori scuola?”


Questa può sembrare una storia esagerata perché risulta difficile pensare che, davanti ad una scuola, per giunta in un orario in cui si dovrebbe svolgere serenamente l’entrata di bambine e bambini che si apprestano a salutare i familiari per trascorrere la loro quotidianità scolastica, due persone non riescano a trattenersi, che non pensino almeno di attraversare la strada e di non turbare lo spensierato passaggio scolastico con grida e frasi inopportune.
Ma, per quanto appaia una storia sgradevole e inadeguata per l’ascolto di bambine e bambini, è pur sempre una storia e chi la riceve, merita di capirla con un linguaggio a sua misura, perché non resti la paura dell’incomprensibile e perché un episodio spiacevole diventi un’opportunità con cui poter interpretare in modo semplice ed efficace quello a cui involontariamente bambine e bambini sono esposte/i, ma anche e soprattutto costituisca un’occasione per provare a comprendere un proprio vissuto a cui si fa fatica ad attribuire un significato.

Creare contesti educativi funzionali, stimolanti e rassicuranti. Per la maggior parte di noi educatrici ed insegnanti questa espressione si traduce quasi in un mantra che ripetiamo continuamente sia dentro di noi sia tra di noi; facciamo costantemente attenzione che gli spazi nei servizi siano leggibili, chiari, ordinati, che il materiale sia riposto ed organizzato perché bambine e bambini ne possano fruire in modo consapevole e generativo; ci impegniamo a predisporre laboratori ed esperienze educative in cui sia garantita talvolta l’eterogeneità, talvolta l’omogeneità, puntualmente osservando la prospettiva dell’intersezione. Siamo concordi nel concepire lo spazio esterno come l’estensione del Nido o della Scuola e quindi prevediamo che routine, attività e momenti ludici siano regolarmente trasposti in giardino durante l’intero anno e favorire così l’osservazione diretta e partecipata dei cambiamenti naturali ed atmosferici.
Allestiamo atelier in cui bambine e bambini possano confrontarsi con forme espressive artistico-creative in cui sentirsi libere e liberi di portare alla luce il loro estro, le loro capacità più raffinate, i tratti più esuberanti della loro personalità.
Infine, ma non in ordine di importanza, siamo sintonizzate su quelle preziose frequenze d’onda che ci mettono in connessione con le intelligenze multiple delle bambine e dei bambini che vivono la nostra Comunità Educante per cogliere segnali indispensabili a trasformare interventi educativi in stimoli concreti ed escogitare sempre nuove formule di pedagogia attiva, nell’ottica di un fare maieutico, di un’esplorazione che dia luce al colorato ventaglio di possibilità che è in dotazione incondizionata al panorama cognitivo di ogni bambina/o.

Quando si fa riferimento ai contesti educativi, però, siamo chiamate a valorizzare in particolar modo anche quella dimensione che coincide con la trama su cui poggiano tutte le esperienze educative, il grembo che protegge la potenzialità embrionale e il cuore che incoraggia il libero fluire dei significati.
Il contesto educativo è la Relazione. Cos’è la relazione? In cosa consiste questa misura?
Una risposta lievemente polemica potrebbe asserire che creare legami significativi sia, ovviamente, la finalità obbligatoria per attivare processi educativi efficaci.
La nostra attenzione, anzi, la nostra disponibilità alla Relazione, necessita di un’elaborazione profonda perché non si sintetizzi in un agire affettuosamente verbale, in un alternarsi di scambi verbali e gentili consegne di indicazioni, suggerimenti e proposte.
Noi educatrici ed insegnanti siamo chiamate ed essere delle Custodi Emotive e, nelle nostre Relazioni con bambine e bambini, l’esercizio binario che di continuo mettiamo in atto consiste nel registrare ed accogliere, individuare e tradurre, attenzionare e restare autentiche.
Saper stare in Relazione significa stare in movimento tra le percezioni e il senso, avere una buona angolatura di prospettiva per riconoscere la giusta zona in cui fermarsi ad aspettare, in cui procedere in punta di piedi, o, ancora, in cui intraprendere una danza scandita da ritmi che sembrano non appartenerci, che possono togliere il fiato ma che, poi, irradiano solo vibrazioni positive.
Saper stare in Relazione significa gestire diversi equilibri: l’equilibrio del nostro Io individuale, l’equilibrio individuale di chi è in relazione con noi e l’equilibrio collettivo che caratterizza la Relazione educativa.
Nell’essere custode emotiva scegliamo di allontanare le resistenze e di alleggerire il nostro sguardo da opache pendenze, per favorire il librarsi di quei pezzi di storia che, nell’atmosfera relazionale, con incertezza o con impeto, aspettano solo di essere afferrati. E, una volta presi, li trasformiamo in un gancio su cui poter fare pressione nella stretta verso i significati, i vissuti e le emozioni di cui bambine bambini ci chiedono inconsapevolmente di essere partecipi.
La nostra partecipazione, però, necessita di condizioni senza le quali non può rispondere alle aspettative di sincerità ed efficacia che sottendono all’assunzione del ruolo di custode emotiva.

Un cantante a cui in tante e tanti siamo legate/i dice a gran voce che “è tutto un equilibrio sopra la follia”. Mi permetto questa metafora perché, nel considerare la follia come una bella ed indispensabile forma di energia, come un insieme di materiale translucido di infinite opportunità, come un orizzonte di senso dal quale risalire per conoscersi, resta in ogni caso centrale la responsabilità dell’equilibrio, il mio, il loro, il nostro.

Il mio equilibrio è una capacità che nel suo essere tale non si definisce mai compiutamente, è una ricerca senza soluzione di continuità di un’armonia personale in cui i vari aspetti delle tensioni si allineano, in cui, se da un lato si attiva la frustrazione, dall’altro risponde un meccanismo riparatore il cui funzionamento è esercitato da zone cuscinetto che intervengono a mediare un sentimento di sfiducia o di delusione con un apporto positivo determinato da altri contesti da cui ricevere benessere, come una lunga corsa all’alba, come un quadro dipinto una domenica pomeriggio, come un esame di filosofia sostenuto nella sessione invernale. In questo libero gioco di compensazione si raggiunge un livello di equilibrio che ci mantiene in asse ed impedisce il disinnescarsi di dinamiche inopportune nelle relazioni educative, sia in termini di impazienza ed intolleranza, sia in un coinvolgimento eccessivo, conseguenza della necessità che le restituzioni delle bambine e dei bambini costituiscano quel risarcimento inconsciamente atteso per l’investimento personale di risorse, tempo e dedizione.

Il mio equilibrio è la migliore garanzia per diventare custode emotiva, per accettare l’altra/o in tutte le sue manifestazioni e per cogliere segnali sensibilmente criptati con naturalezza ed onestà, senza la distrazione cognitiva causata da quell’instabilità interna che offusca la nostra empatia.

Il loro equilibrio è la propensione che bambine e bambini acquisiscono nell’ entrare in contatto con situazioni complesse e nei loro tentativi di elaborarle attraverso un racconto, una canzone, un gioco, un litigio; la sicurezza che percepiscono nell’esprimere le proprie reazioni ad episodi a loro direttamente accaduti o a cui sono state/i involontariamente esposte/i (come nel caso della storia iniziale), nel dare una singolare configurazione ad una sensazione forte ed inaspettata, triste o inebriante, in un gioco di costruzioni pericolanti che se crollano fanno rumore e si disperdono, per poi poter essere ricomposte anche nello stesso modo per tante volte, fino a che non si scopre un nuovo modello a cui ispirarsi e con cui inventare.
Il loro equilibrio è figlio di una base sicura, di uno stile d’attaccamento sicuro per citare John Bowlby, una dimensione d’accudimento in cui l’accettazione positiva ed incondizionata della bambina e del bambino li ha resi liberi di sperimentare e sperimentarsi e di percorrere sentieri di scoperte alle quali hanno imparato a non sottrarsi, ad agire in autonomia sotto lo sguardo rassicurante di chi protegge e dà fiducia anche con una presenza discreta.
Per essere custodi emotive, anche noi educatrici ed insegnanti, possiamo stare in relazione con bambine e bambini adottando una presenza discreta che si avvicini delicatamente al loro equilibrio, evitando di orientarlo in direzioni parallele alla loro emotiva zona di spazio prossimale, come gli insegnamenti di Vygotskij ci ricordano.
Quello lì è il luogo dove dovremmo farci trovare, o forse ancora meglio sarebbe riuscire a fermarsi sulla soglia di quel microcosmo, prendere la mano a chi, timidamente, tiene gli occhi bassi, ma con le dita cerca proprio il nostro sostegno e stringere forte quella di chi, invece, quasi automaticamente ci si aggrappa. La difficoltà nasce nel capire i tempi, la volontà e il grado di reale maturità con i quali la bambina o il bambino cercano la nostra mano per accedere al loro microcosmo emotivo; camminare insieme ad una presenza discreta aiuta a leggere tutte le indicazioni di una mappa straniera che può essere più o meno tradotta solo con la pazienza, la delicatezza, la leggerezza dei tentativi e la caparbietà elegante dell’attesa.

Il nostro equilibrio è il flusso generato da un confluire all’interno della Relazione educativa, dove la fiducia, la speranza sottile, il rischio, l’esuberanza, l’incertezza e l’entusiasmo delle bambine e dei bambini si uniscono alla volontà, alla responsabilità, alla serietà degli occhi, delle orecchie e delle mani, alla calma, alla tenacia, alla rassicurazione delle parole e dei silenzi che descrivono il nostro essere educatrici ed insegnanti, il nostro essere custodi emotive. Se il flusso scorre liberamente, anche con qualche diga qua e là ad arginare alcune rapide improvvise, abbiamo raggiunto il nostro equilibrio, un’area affettivo-cognitiva dove c’è spazio ed ascolto per qualsiasi narrazione, pensiero, contenuto di bambine e bambini, qualsiasi loro racconto che abbia bisogno di essere illuminato, chiamato, spiegato, e, perché no, anche urlato.
Tra le più belle cornici che risaltano il nostro equilibrio, quella dorata appartiene al Cerchio Magico, a quel momento in cui non ci sono storie brutte, parole difficili, “frasi che non c’entrano niente”, quel tempo collettivo in cui le espressioni casuali di una bambina o di un bambino sono il riflesso dei pensieri di altre/i, in cui una confidenza rivelata diventa l’incoraggiamento per altre confidenze a cui manca la spinta per essere raccontate, in cui la condivisione di una situazione spiacevole a cui si è assistito e che ha creato un generale disagio rappresenta lo strumento indiscusso per portare alla luce un piccolo dolore, una paura, un brutto sogno, che sta lì e aspetta solo di poter uscire fuori senza pensare a come dirlo.

Luna: maestra mi facevano paura quelle persone che strillavano.
Sara: però stavano da soli, non c’erano i figli
Alessio: Forse non ce li hanno
Ludovica: forse stavano a un’altra scuola
Luna: secondo me stavano già a scuola, non a questa, e litigavano perché tipo lui si era scordato che doveva portare la figlia a nuoto e la mamma si è arrabbiata
Sara: no per me c’hanno due gemelli come Marco e Luigi, che dovevano fare la doccia, mettere a posto la stanza, cenare e la mamma era nervosa perché da sola tutto non ce la fa’ a farlo e il padre era tornato tardi.
Luna: lo sai maestra che ieri mamma e papà pure hanno litigato, io stavo giocando con le mie sorelline, però correvamo e pure un po’ strillavamo.
E mamma era tanto stanca e pure papà
Papà ci diceva fate piano, noi non l’abbiamo sentito e poi mamma ha preso un bicchiere con l’acqua e l’ha tirato addosso a papà,
e noi abbiamo visto e mamma ci ha sgridato
e noi siamo andate via in cameretta con la porta chiusa.
Poi papà stava zitto e stava seduto sul divano e non diceva più niente.
E poi mamma è andata in bagno e stava zitta pure lei,
poi Benedetta è andata a fare pipì, mamma si stava facendo la doccia e papà stava sempre sul divano zitto, mica guardava la televisione, zitto, per tanto tempo zitto,
pure noi non dicevamo niente perché non ci andava più di giocare, poi papà si è alzato ed è uscito, Benedetta e Flaminia si sono andate a mettere il pigiama, io dovevo fare pure cacca, tanto mamma si era finita di lavare,
però pure lei non parlava, e io ero un po’ triste perché mamma non sta mai senza parlare, c’avevamo fame ma a mamma non glielo dicevamo perché magari ci tirava l’acqua pure a noi. Però poi papà è ritornato e aveva preso le pizze e noi eravamo contente pure se non c’era quella con i würstel, poi mamma ha guardato papà e gli ha detto Grazie e lui gli ha detto prego e non era arrabbiato perché gli ha tirato l’acqua.
Maestra: tuo padre ha capito che nel dirgli grazie vostra madre gli stava dicendo anche scusa.
Christian: eh certo gli aveva tirato l’acqua!
Maestra: forse la mamma di Luna non è riuscita a trattenersi, come quelle persone che prima litigavano fuori scuola, forse era così stanca che non trovava le parole per dire al papà di Luna perché si stava arrabbiando.
Ludovica: forse prima aveva litigato con qualcuno al telefono, come papà mio ieri che faceva su e giù su e giù e diceva tante parole al telefono
Leonardo: forse era preoccupata perché non aveva finito una cosa del suo lavoro importante e aveva bisogno di più tempo.
Sara: sì pure mamma ieri è tornata tardi perché c’era la riunione.
Maestra: vedete quanti motivi stiamo trovando insieme, a volte non riusciamo proprio a fermarci, a parlare piano, ad aspettare un attimo per ritrovare la calma. Magari ci stiamo impegnando tanto, ma qualcosa è troppo forte dentro di noi.
Luna: e pure dentro i nostri genitori.
Ludovica: e pure dentro a quei signori di prima.
Alessio: però dopo se ne va.
Sara: sì ma si deve chiedere scusa
Christian: si va bene pure grazie come la mamma di Luna.
Sara: ma ha gli ha detto grazie perché ha portato le pizze.
Ludovica: sì però voleva dire grazie e scusa.
Luna: maestra scusa non l’ha detto, però quando abbiamo finito di mangiare, io l’ho vista che è andata vicino a papà e gli ha detto qualche parola sotto voce, ma era qualche parola bella perché finalmente sorrideva!”
Giulia Iuliano, insegnante scuola dell'infanzia

Contributo narrativo "Luna" di Massimiliano Scollo
Quella mattina Luna era diversa.
Attaccavo alle 10 e avevo ricevuto il consueto saluto generale dei bimbi fatto di sorrisi e abbracci e aggiornamenti su tutto quello che avevano fatto e stavano facendo nel piccolo tempo da quando erano arrivati in classe.
Tutti insieme in un accavallato e gioioso vociare inconsapevole e indifferente ognuno del proprio compagno.
Era il mio saluto universale del secondo turno, il riconoscimento delizioso che mi tributavano i bimbi felici del mio arrivo. 
Di tutti, tranne di Luna, quella mattina.
Era nel suo angolo preferito, ma di spalle, quasi chiusa al resto dello spazio e stranamente portava ancora in testa il suo cappellino viola e fiori blu, suo grande vanto.
Sapeva che era il mio colore preferito e gongolava spesso coi compagni per questa mal segreta complicità con la maestra.
Chiesi subito alla collega come mai non lo aveva levato.
“Mi ha detto che non ne ha proprio intenzione, che oggi preferisce tenerlo, che ha bisogno di calore alla testa. E anche quando ho insistito mi ha semplicemente ignorato …”
Conoscevo quella modalità di Luna sebbene raramente la avevo vista comportarsi così sapendo con quanto orgoglio e vanità era solita mostrare a tutti i suoi meravigliosi ricci ogni giorno pettinati in maniera diversa mi chiedevo cosa fosse successo quella mattina
“Guarda che treccia oggi!! Oggi ho preferito lasciarli sciolti, mi piace il solletico sul collo che mi fanno! Sai oggi ho preferito la coda, c’è il sole e in giardino corro meglio! Queste mollette viola me le ha regalate nonna ieri, brillano e vanno bene solo per i miei ricci!!”
Avrei potuto tenere un diario solo per le sue pettinature, e probabilmente non sarebbe bastato.
Ma
Quella mattina
Il cappellino copriva tutto.
Capii subito che c’era qualcosa che non andava e mi misi in una più selettiva ricezione in attesa di qualche segnale che mi aiutasse a svelare l’’arcano.
I bambini lo sanno quando possono parlare e mai a domanda diretta.
Aspettano Vicinanza, Accoglienza, chiedono silenzio sulle loro sensazioni, non hanno ancora i pennelli giusti per spiegarle, hanno bisogno della loro versione della storia per spiegare cosa sentono, perché quello che li fa stare male è di solito inaccettabile e soprattutto se il dolore viene da vicino.
Quindi la salutai con affetto ma senza aspettarmi risposta che difatti non arrivò a parte un sorrisino forzato.
Aveva gli occhi tristi, senza quel solito brillio che li contraddistingueva, quella luce vivace che affascinava chi li guardava ma spesso intimoriva quando affrontati direttamente.
Iniziai la solita routine senza mai sottolineare l’assenza delle sue solite risposte o le sue normali dinamiche.
Il tempo fino a mensa passó veloce e Luna rimase isolata, poco propensa ai soliti giochi con le compagne e i compagni, ma soprattutto insolitamente silenziosa alle provocazioni e ai semplici scherni di gruppo.
Non era una indifferenza consapevole, un trucco sapiente per scoraggiare i compagni però.
Luna era tutta chiusa, persino le lentiggini erano spente, e le sue labbra sembravano serrate coscientemente, obbligate da chissà quale mostro terribile a non rivelare sorrisi.
In giardino mi portai subito a sedere molto vicino al suo posto solito, alla fine del gradone che costeggiava lo spiazzo, dove terminava contro il muro di cinta.
Da lì Luna aveva visuale su tutto ciò che accadeva e soprattutto era il luogo dove tra il prato e il muro nascevano le margherite più belle e soprattutto più alte che lei sceglieva con cura per farne dei braccialetti intrecciandone i gambi.
Lei arrivò subito tralasciando le abituali corse e rincorse all’arrivo in giardino.
Si era portata un libro, non uno tra i suoi preferiti. Aveva pierino e la rabbia.
E iniziò a scorrere le pagine velocemente, con sguardo attento 
Io rimasi in silenzio
Il cappellino non lo aveva mai levato, nemmeno a mensa, e le domande insidiose dei bimbi le avevo allegramente accantonate raccontando le avventure che avremmo affrontato al campo scuola.
Luna guardò il libro per ben due volte e iniziò a guardarmi di soppiatto, poi lentamente si avvicinò.
“ma bisogna arrabbiarsi per forza?” Chiese
“si può essere solo tristi vero? O prima o poi mi cresce un mostro dentro?
La guardai
“Certo che si può essere solo tristi ma è importante capire se si arrabbiati! A volte è difficile sapere se si è arrabbiati…”
Risposi
“Ah” declamó senza guardarmi
Aspettai un attimo dandole tempo per pensare poi aggiunsi
“Guarda che sole eppure fa freddo con questo vento. Per fortuna hai il tuo cappellino viola!”
Rimase in silenzio
“Ah” di nuovo” é vero fa ancora freddo. Infatti stamattina sul divano in salone c’erano 2 coperte… e papà non parlava molto. A lui non piace il freddo. Dice sempre che vorrebbe stare tutto l’anno in calzoncini. E pure il latte stamattina era freddo e papà mi ha messo solo una merendina invece che 2 e anche troppo nesquik anche se sa che non mi piace!”
Lo sguardo le cambió. E iniziò a tamburellare la gamba velocemente e a darsi piccoli colpetti con la mano destra.
“A volte anche i papà sono tristi e la tristezza spesso fa dimenticare le cose sai..”
Le dissi
“Secondo me era proprio arrabbiato e aveva il mostro dentro ! Ieri sera quando ero a letto ho sentito anche tante urla con mamma e stamattina era anche vestito uguale a ieri sera… e poi…”
Si alzò in piedi e d’improvviso mi si mise di fronte e con malcelata rossa pulsante rabbia si levò il cappellino
La chioma le esplose da sotto rivelando i bellissimi ricci oggi arruffati e scomposti, alcuni intrecciati malamente agli altri e uno sbuffo di ciocche sulla tempia sinistra le si alzò buffamente quasi rivoltandosi per tutto il tempo che era stato intrappolato sotto il pile del cappellino agitandolo elettricamente!
“ e poi non mi ha neanche pettinato e quando gliel’ho ricordato stamattina mi ha detto che non c’era tempo ma invece c’era e gliel’ho detto e mi ha strillato ma io non avevo fatto niente e lui si è girato e mentre se ne andava mi ha detto fatteli fare da mamma e io gli detto che mamma la mattina non c’è e lui mi risposto soltanto “appunto lo so” e non ho capito e siamo rimasti senza dirci nulla fino in macchina ma quando mi salutato mi ha abbracciato di più e mi ha chiesto scusa ma quando è andato via si è anche scordato di farmi ciao alla finestra”
Aveva raccontato tutto con un respiro solo e aveva gli occhi lucidi e quando se ne accorse si sedette con il viso verso il muro di cinta.
Senza guardarla dissi rovistando nella mia borsa
“Guarda un po’ che ho! L’ho comprato ieri ma ancora non l’ho usato. Un elastico per capelli viola!!! Che ne dici? Posso permettermi di farti la coda anche se non sono brava come papà…!! Io non neanche figlie femmine. Mi piacerebbe tanto fartela!”
Non rispose ma si avvicinò di schiena alla mia sinistra aspettando che lo facessi.
“Papà è l’unico che me la sa fare senza farmi male. Ci mette tantissimo ma non mi fa male. Anche mamma è bravissima ma fa più veloce e certe volte mi tira troppo..”
Inizia a legarle i ricci lentamente e con attenzione poi le dissi
“Anche i papà e le mamme talvolta non sanno se sono arrabbiati sai. E il mostro verde tutto felice gli cresce dentro di nascosto e gli fa dimenticare le cose. Ma tuo papà ti ha già chiesto scusa e anche se si è dimenticato di farti ciao sono convinta di una cosa"
“Cosa???”
“Che quando oggi lo rivedrai, se tu gli farai il tuo sorriso più bello e gli darai il tuo abbraccio più speciale e il tuo bacetto magico ti guarderà e sarà felice. Vedrà la tua coda fatta male da me e capirà e probabilmente non si scorderà più di pettinarti..”
Non rispose, finii di fare la coda e le dissi
“Fatto”
Si alzò, la controlló, sembrò mediamente soddisfatta e con gli occhi tornati vivaci e le lentiggini di nuovo brillanti mi regalò un sorriso e si voltò correndo verso gli amici e le amiche.
Mentre correva via mi parve stranamente di vedere un piccolo mostro verde spiaccicato sull’asfalto dello spiazzo ma forse, dico forse era solo una semplice, innocua, piccolissima bacca schiacciata…
Massimiliano Scollo

giovedì 5 giugno 2025

Petra e il giardino zen

Petra e il giardino zen: continuità educativa tra nido Peter Pan e infanzia Montarsiccio attraverso natura, narrazione e senso del sé”

Nel delicato passaggio dal nido alla scuola dell’infanzia, la continuità educativa assume un ruolo fondamentale per garantire ai bambini un’esperienza armonica e significativa. A partire dalla lettura dell’albo illustrato Petra di Marianna Coppo, nasce un progetto pedagogico incentrato sulla creazione condivisa di un giardino zen: uno spazio sensoriale e simbolico dove i bambini possono esplorare, trasformare e lasciare tracce del proprio percorso.

Petra: la meraviglia dell’essere in divenire
Petra non è una semplice pietra. È montagna, isola, uovo, creatura. L’albo illustrato di Marianna Coppo, con tratti essenziali e un umorismo delicato, racconta la forza dell’immaginazione infantile e la capacità trasformativa che caratterizza l’identità dei più piccoli. Petra si adatta, cambia, si reinventa: proprio come i bambini nel loro processo di crescita.
Questo albo diventa così un prezioso strumento per affrontare, insieme ai bambini, il tema del cambiamento legato al passaggio tra servizi educativi. Non con paura o interruzione, ma con stupore e possibilità.
Un progetto ponte: il giardino zen condiviso
Nel dialogo tra nido e scuola dell’infanzia, nasce un progetto comune: la costruzione di un giardino zen sensoriale. Uno spazio naturale, semplice ma evocativo, dove ogni bambino può esplorare con i sensi, giocare con gli elementi e scoprire il valore del tempo lento.
Il giardino viene costruito gradualmente da entrambi i gruppi, con momenti condivisi e attività parallele:
• Manipolazione di sabbia, acqua e pietre
• Decorazione di sassi-personaggio ispirati a Petra
• Racconti all’aperto, osservazione della natura
• Piccoli rituali di passaggio: lasciare una pietra, una parola, un gesto


Obiettivi pedagogici
Il progetto si fonda su alcune finalità chiave:
• Promuovere una continuità vissuta, non solo organizzata, attraverso esperienze comuni
• Rafforzare il senso di identità e appartenenza dei bambini
• Favorire il linguaggio simbolico, corporeo ed emotivo
• Educare alla cura, all’osservazione e alla trasformazione.

Il ruolo dell’adulto: accompagnare e osservare
Educatrici e insegnanti diventano traghettatori di senso. Non solo progettano, ma osservano, ascoltano, documentano. Ogni gesto dei bambini, ogni modifica del giardino, ogni parola lasciata accanto a un sasso è una traccia di crescita, una storia che vale la pena raccontare. La documentazione visiva e narrativa di questo percorso assume un valore formativo anche per le famiglie, coinvolte nella restituzione finale.

Conclusione
La continuità educativa può diventare un’esperienza poetica e concreta. Con Petra come guida, e con un giardino come teatro naturale di relazioni e significati, i bambini imparano che cambiare non è perdere, ma trasformarsi. Che il nuovo non cancella il prima, ma lo accoglie. E che ogni pietra può diventare qualcosa di meravigliosamente unico.
Angela Melillo