venerdì 31 gennaio 2014

Il Gruppo di Bibliolettura interattiva della Biblioteca Renato Nicolini


Sabato 1° febbraio alle 10.30 inizierà la sua attività il Gruppo di Bibliolettura interattiva della Biblioteca Renato Nicolini. Noi di Magic BlueRay crediamo molto nell’importanza di questa iniziativa, in un momento in cui la Cultura sembra essere diventata una sottospecie di zavorra sociale, umiliata e offesa proprio da chi avrebbe l’obbligo morale e istituzionale di diffonderla. Non abbiamo nulla da insegnare, ma tantissime idee ed emozioni da condividere e saremo felici di scambiarle con tutti coloro che avranno voglia di farlo.
Insieme scopriremo che la lettura è uno strumento utile nella vita quotidiana in grado di aprire orizzonti sconfinati e di offrire le risposte che si cercano.
Sarà un viaggio affascinante che ci porterà lontano e ci farà capire molte cose della vita e di noi stessi. 
Possono partecipare tutti, anche le persone che vivono lontano da Roma, inviandoci le loro riflessioni sui libri, anche in video che verranno proiettati durante gli incontri e condivisi sulla pagina facebook del gruppo che verrà attivata tra pochi giorni
Non c’è niente da aggiungere, perché il resto lo scopriremo solo leggendo...
Dario Amadei

lunedì 27 gennaio 2014

"Confidenzialmente". Le interviste di Michela Zanarella

Donne in gioco, il nuovo libro di Anna Manzo

Anna Manzo è nata a Pompei e vive a Roma. Appassionata di lettura e scrittura ama tutte le espressioni d'arte. Ha pubblicato da poco la raccolta di racconti "Donne in gioco" edito da Simple Edizioni. "Donne in gioco" parla di donne che combattono per superare difficoltà e incomprensioni, donne comuni che cercano di affrontare la vita con coraggio.

Michela Zanarella incontra Anna Manzo per un'intervista.

D- Hai dato alle stampe la raccolta di racconti "Donne in gioco", edito da Simple. Cosa ti ha portato a raccogliere i tuoi racconti in un libro e perché il titolo "Donne in gioco"?

R. Avevo questo materiale con un filo conduttore unico: racconti di vita o di situazioni possibili nella realtà, le cui protagoniste erano tutte donne ed ho pensato che ne sarebbe nato un buon libro, tale da suscitare la curiosità e la simpatia del mondo femminile. Esso parla di donne giovani che, trovandosi in situazioni difficili e problematiche, non si scoraggiano, non si abbattono, non si arrendono, ma cercano di trovare la forza di lottare, per poter uscire dalla ragnatela insidiosa, creata dalle situazioni complicate in cui vengono a trovarsi, ecco perché l’ho intitolato “Donne in gioco”.

D- Undici racconti, undici storie di donne. Ogni racconto ha come titolo il nome della protagonista. Ci accenni brevemente quali tematiche affrontano i tuoi testi?

R. I miei testi affrontano varie tematiche: l’Amore, quello con l’A maiuscola, che ogni donna cerca; l’amicizia, quella vera, disinteressata, altruista; la bellezza della maternità; la generosità del perdono; la necessità di credere in se stessi per poter superare le difficoltà della vita; la presenza di una forza superiore che conduce le nostre azioni…

D- Le donne di cui parli nel libro sono donne comuni, del nostro tempo. Quanto ti rispecchi in loro, quanto c'è della tua personalità nelle protagoniste?

R. Le donne protagoniste dei miei testi rispecchiano molti aspetti della mia personalità, che appare più facilmente dai miei scritti, perché in essi riesco ad essere sincera e priva di qualche inibizione.

D- Poesia e narrativa, due generi complementari ed apparentemente diversi. Cos'è per te la poesia? E la narrativa?

R. La Poesia, secondo me, è far parlare la voce dell’anima. Essa dà un senso universale alla nostra vita, ci aiuta a vedere oltre le apparenze, oltre i nostri limiti, ci aiuta ad esprimere i nostri sentimenti più profondi, a mostrare i nostri aspetti più nascosti, ci fa provare grandi emozioni.
La narrativa è un’occasione per raccontare esperienze proprie e altrui, un modo per aprirsi e chiarire a se stessi la propria interiorità, che in un secondo momento si ha piacere di condividere con il lettore. Può essere occasione di sfogo, di riflessione, di introspezione, ma è anche l’occasione per far volare la fantasia e creare storie che fanno sognare.

D- Quale messaggio vuoi trasmettere ai lettori con questa raccolta? E' un libro strettamente dedicato alle donne o ha un valore molto più ampio?

R. Con questo libro desidero trasmettere un messaggio di fiducia. Vorrei far capire che non bisogna arrendersi mai, neanche di fronte alle situazioni più dolorose o difficili. Occorre far scattare la forza e il coraggio che sono dentro di noi e lottare per cambiare le cose. Questo è un libro che parla di donne, ma che può rivelare agli uomini aspetti femminili che spesso sfuggono o sono stati dimenticati.

D- Marcel Proust scrisse: L´amore è lo spazio e il tempo resi sensibili al cuore. Una tua riflessione.

R. Quando si ama entriamo in uno stato d’animo magico per cui riusciamo a vedere ciò che ci circonda sotto un aspetto diverso. Tutto ci appare più bello e apprezzabile. L’amore ci rende migliori e più disponibili verso gli altri.

D- Prossimi progetti?

R. Ne ho alcuni. A breve scadenza, la pubblicazione di una nuova raccolta di racconti ed una di poesie. A più lunga scadenza, la stesura di un romanzo e di un’autobiografia.

Michela Zanarella

giovedì 23 gennaio 2014

Monterotto News

Il risveglio di Oirad

Il suono insistente del telefono svegliò Oirad che stava sognando in bianco e nero come gli capitava di fare da quando la sua mente era avvolta da una nebbia benzodiazepinica.
- Pronto ma chi è  a quest’ora? – sussurrò mentre avvertiva distintamente che la sua diastolica stava superando allegramente il livello di guardia sotto il quale l’aveva appena faticosamente ricacciata.
Ma chi poteva essere, se non la stessa voce gracchiante che lo aveva perseguitato anche la sera prima al momento di andare a dormire e lo perseguitava in ogni istante della sua vita?
Oirad sapeva che quella voce non esisteva veramente, era una specie di mostro mitologico, un Minotauro che nasceva nel profondo del suo inconscio e gli azzannava dolorosamente l’anima.
- Devi liberartene! – gli ripeteva sempre il professor Avenarius – È una lotta all’ultimo sangue, devi renderti conto che non potete sopravvivere entrambi, ormai devi scegliere tra te e lei.
Ma Oirad non aveva la forza di reagire e così anche quella mattina, come ogni mattina la voce lo stava massacrando, inondandolo di frasi sconnesse che era impossibile ricomporre in un discorso minimamente sensato…
- Male forte, terribile, tu non capisci… dolore irresistibile… - biascicava la voce come un vecchio vinile graffiato che basculava orrendamente senza rompersi mai.
Oirad sentiva un cerchio d’acciaio, una specie di garrota che gli stringeva le tempie, sempre più forte costringendolo ad urlare anche se dalla sua bocca spalancata non riusciva ormai ad uscire alcun suono.
Disperato afferrò la boccetta dello Stranzepam, deciso ad ingollare l’ennesima compressa, l’unica che forse avrebbe potuto dargli un po’ di temporaneo sollievo, ma quando alzò lo sguardo per un attimo, vide il Brancico che fluttuava in aria davanti a lui e sembrava chiamarlo.
Il nostro eroico amico senza pensarci un attimo lo strinse tra le mani, lo azionò e si lasciò avvolgere dalla luce calda che si sprigionava da quello strumento meraviglioso.
Immediatamente la voce svanì nel silenzio e Oirad si ritrovò sulla riva di quel mare che sapeva cullarlo dolcemente ed era l’unico luogo dove riusciva ad essere se stesso.
Dario Amadei

mercoledì 22 gennaio 2014

Voci di quartiere

Accade alle volte... di Alfredo Tagliavia

Accade alle volte che il pedonale della Portuense non scatti mai, sembra di aspettare una vita o due, vien voglia di tornare indietro due trecento metri per dirigersi a quello precedente, di fronte al supermercato biologico, quello che si prenota col pulsantino, pochi secondi e scatta, come per magia, ma ecco, proprio mentre rare macchine sfrecciano veloci, e il camminatore solitario è affaccendato in questi pensieri, il semaforo scatta senza preavviso: ora è verde, si può attraversare.
Alle volte accade che sia domenica mattina, magari una bella giornata di sole, nonostante la fine dell’autunno vicina, accade che il camminatore solitario si trovi su di una strada larga e lunga, tutta palazzotti e magri alberelli, piantati come coltelli sul cemento, ora anche più magri (hanno perso quasi tutte le foglie rossastre catapultate sull’asfalto), e nemmeno un negozio, solo un angolo commerciale con grande catena ristoratrice, banca e centro privato di analisi cliniche : sequenza commercialmente perfetta, viene da pensare al camminatore solitario, prelevare al bancomat, abbuffarsi di cibo geneticamente modificato, e infine, con il resto dei già pochi soldi a disposizione, correre a farsi un controllo d’urgenza per complicazioni intestinali sopraggiunte, tutto a portata di mano.
Ma accade alle volte che la via percorsa susciti un ricordo improvviso, al camminatore solitario ora potrebbe tornare in mente, quella strada un tempo non era così, non c’erano palazzotti né alberelli, né catene di ristoratori o banchieri, quella strada in discesa un tempo era tutta campagna, se lo ricorda il camminatore, l’odore di rugiada nelle fredde mattine d’inverno, il profumo d’erba bagnata quando all’alba aveva piovuto, la mano di sua madre che lo accompagnava fino a scuola, le pecore sullo spiazzale che attraversavano solo un po’ più in giù, non era tanto tempo fa, gli anni delle sue scuole elementari, metà anni Ottanta forse, e quella strada di periferia di Monteverde nuovo era così, campagna brulla, vergine.
Alle volte accade di vivere nei ricordi, ora però basta col passato, bisogna vivere il presente, i ricordi non sono mai veri, soltanto menzogne che il pensiero racconta a se stesso, idealizzazioni di felicità mai accadute, nostalgie di altezze mai raggiunte, e lo sa bene il camminatore solitario, ora che la discesa è terminata, è arrivato dritto allo spiazzale della concessionaria, l’orologio della farmacia potrebbe segnare mezzogiorno, si potrebbe addirittura arrivare in tempo alla messa di don Giampiero (o almeno così potrebbe pensare, il camminatore solitario).
     Ma invece di andare dritti si cincischia (accade alle volte), così a zig zag, tra bambini che si danno il turno sulle altalene, raggi di sole poco più forti che illuminano una piazzetta, laboriose trattative di acquisti in un piccolo mercatino, trambusto lieve della domenica mattina, così può accadere che il camminatore solitario arrivi alla messa in ritardo, quando si è già arrivati all’omelia, don Giampiero è una specie di piccolo don Milani, ora grida parole con enfasi dall’altare della sua piccola parrocchia, una costruzione in legno in cui a malapena filtrano i raggi, lontana dagli sfarzi kitsch di altre chiese della zona, si agita con semplicità, chiama i ragazzi per nome, a volte li fa andare all’altare, altre volte scende dal pulpito e va a cercarli lui, microfono alla mano, pone domande importanti, pare che ora stia dicendo che Dio vuole comunicare davvero con loro, che non dice “più tardi ti invio un sms”, oppure “whatsappiamoci”, che vuole davvero entrare nel loro cuore, nonostante questo mondo tecnologico e tecnocratico, chissà cosa capiranno delle sue parole quei ragazzi, studenti delle medie o dei primi anni delle superiori, si starà chiedendo il camminatore solitario, e però l’atmosfera che si respira in quelle quattro scarne mura gli piace, è bella, sa di verità almeno per un’ora a settimana, per questo potrebbe tornarci anche domenica prossima, chi lo sa.
Ma il camminatore solitario ora potrebbe voler andare via, uscire fuori dalla chiesa all’improvviso, prima che finisca la messa (alle volte accade), e all’uscita imbattersi in Evasio, avrà più di cinquant’anni ormai, di domenica a quell’ora se ne sta sempre là, buttato a terra, la motoretta scassata vicino, un tempo girava con una vespetta, ora ha uno scooter bianco che sembra abbia fatto la guerra, lo conoscono tutti come mezzapiotta, da decenni passa a chiedere spicci in giro per il quartiere, la barba sempre lunga, i capelli sempre più ricci e alti sulla fronte, la tuta sempre sporca, e pensare che un tempo era un brillante studente di medicina, una famiglia benestante alle spalle, poi ha cominciato a farsi, a vivere così alla rinfusa, pensa la vita che direzioni impreviste può prendere, viene da dire fra sé e sé al camminatore solitario, lui è sempre incuriosito dalla presenza di dettagli poco ordinari delle vite degli altri, ora potrebbe aver voglia di avvicinare Evasio, fargli delle domande, sapere di più sulla sua vita, magari anche realizzare una bella intervista e registrarla, ma come al solito non ne avrà coraggio, probabilmente scapperà svoltando al primo angolo dietro la piazzetta.
Accade alle volte di preferire strade secondarie, evitare il frastuono delle arterie principali, addentrarsi in vicoletti inaspettati, ogni volta che si percorrono è una sorpresa, come adesso ad esempio, il camminatore solitario potrebbe aver preferito la deviazione di vicolo della Serpe, il sole splendere un po’ più forte e deciso, la stradina una stretta e sottile curva ad u, per qualche minuto nasconde la città al camminatore solitario, casette da un lato, campagna che nessuno sa dove porta dall’altro lato, ricorda la strada di Martino Testadura, quella che nella favola di Rodari non porta da nessuna parte, qui quando passa una macchina si avverte da lontano, ci si sposta sul lato dell’erba stoppacciosa, non c’è spazio per due camminatori a vicolo della Serpe, ora si è alzato anche un venticello leggero, scosta le foglie da terra, fa cadere le ultime rimaste attaccate agli alberi, il camminatore solitario lo avverte per un piccolo brivido alle spalle, ora un soffio improvviso un po’ più forte,  è arrivato quasi alla fine del tunnel di alberi e foglie, la città sta per ricominciare, si capisce dal rumore sordo dello sfrecciare delle macchine, un bidone stracolmo d’immondizia, uno straniero che sta frugando dentro, una coppia che gli grida qualcosa contro in romanesco, un dialogo che degenera presto in battibecco, poi turbine di parolacce e insulti, il camminatore solitario potrebbe voler intervenire, dire qualcosa, forse gli verrebbe di insultare a sua volta i due romaneschi ma non lo fa, e poi non servirebbe a niente, non capirebbero, ora deve accelerare il passo, andare oltre, ha una certa fretta, potrebbe già essere l’una passata, di domenica a quest’ora scatta il coprifuoco, anche nei supermercati e nei centri commerciali, già c’è poca gente in giro, il vento lieve è pure calato, il sole velato da una nuvola innocua, le serrande dei palazzi mezze abbassate, l’atmosfera è ferma, il pedonale della Portuense stranamente è già scattato, alle volte accade.                                    

(Alfredo  Tagliavia)

Diamo il benvenuto ad Alfredo Tagliavia con la sua rubrica "Voci di quartiere"


Su Librandosi si apre una nuova rubrica, "Voci di quartiere", curata dall'amico musicista, pedagogo e scrittore Alfredo Tagliavia.

lunedì 20 gennaio 2014

"Confidenzialmente". Le interviste di Michela Zanarella

Un giorno qualunque di Alfredo Tagliavia

Alfredo Tagliavia è nato a Roma nel 1978.
Dottore di ricerca in Pedagogia, attualmente insegnante precario, ha svolto diversi viaggi di studio in Brasile. Per i tipi della EMI ha pubblicato il libro L’eredità di Paulo Freire. Vita, pensiero, attualità pedagogica dell’Educatore del mondo (2011). Per le edizioni IPOC ha tradotto il testo del filosofo brasiliano Marco Heleno Barreto Immaginazione simbolica. Riflessioni introduttive (2012). Di recente uscita è il suo primo libro di narrativa Un giorno qualunque (edizioni Book Publish), una raccolta di racconti a sfondo pedagogico, ambientati fra Italia e Brasile.
Tra le sue passioni anche la musica, si dedica all'insegnamento della chitarra. Michela Zanarella lo incontra per la rubrica "Confidenzialmente".

D- Sei l'autore di "Un giorno qualunque" raccolta di racconti ambientati tra l'Italia e il Brasile. Cosa ti ha portato a scrivere questo libro e perchè hai scelto il Brasile come ambientazione ai tuoi scritti?

Scrivo pensieri e riflessioni personali da quando ero un adolescente, ma ho cominciato a farlo con maggiore consapevolezza dal 2009: superati i trent’anni e terminato un dottorato di ricerca, mi è sembrato per la prima volta di aver accumulato una serie di esperienze di vita da raccontare, per poterle così condividere. Tra queste esperienze, proprio il prolungato viaggio di studio nella capitale del Nordest brasiliano, Recife - una delle città più povere ma anche più ricche di cultura popolare, dove si respira davvero il “Brasile profondo” - mi ha dato l’ispirazione decisiva per concepire l’idea della raccolta di racconti.

D- Italia e Brasile due mondi diametralmente opposti, ma con affinità elettive similari, concordi con questa mia supposizione?

Sono d’accordo: l’idea che mi sono fatto, in seguito ai miei viaggi, è che l’Italia e il Brasile siano due realtà simili, ma che attraversano fasi storiche opposte. L’Italia è in fase di contrazione, il Brasile invece è in grande espansione. Al di là di queste congiunture storiche e socio-economiche differenti, vedo il tratto che accomuna maggiormente i due Paesi nella forte presenza di manifestazioni culturali popolari “dal basso”, che hanno segnato la storia dell’Italia e del Brasile anche con importanti differenziazioni a livello regionale e locale (anche qui: in Italia in fase critica oramai da qualche decennio, mentre in Brasile nel pieno del loro sviluppo).


sabato 18 gennaio 2014

Let it Lok: "Il consumismo: le origini del male"

“La differenza tra avere e essere non è un’alternativa che si imponga al comune buon senso. Sembrerebbe che l’avere costituisca una normale funzione della nostra esistenza, nel senso che,per vivere,dobbiamo avere oggetti. Inoltre, dobbiamo avere cose per poterne godere. In una cultura dove la meta suprema sia l’avere, come può esserci un’alternativa tra avere ed essere? Si direbbe, al contrario, che l’essenza dell’essere sia l’avere; che, se uno non ha nulla, non è nulla.”
(“Essere o Avere”- Erich Fromm)

Ho scelto questo breve passaggio dal saggio di Erich Fromm per introdurvi a uno dei principali fattori, in mia opinione, causa della profonda crisi individuale e spirituale che l’umanità sta attraversando. Una delle bestie più temibili, che sta divorando ogni singolo individuo, lentamente, silenziosamente o meno. Il male: il male che ci sta privando, inconsciamente, della quintessenza della vita.
La nostra società vive l’illusione del lusso a tutti costi. L’unica frenesia possibile per ogni individuo sembra essere proprio di primeggiare come consumatore e l’ideologia consumistica sembra fermare paradossalmente, ogni progresso. La vita si annulla nel bisogno cronico di acquistare continuamente nuovi beni e nuovi servizi con scarso riguardo all’effettiva necessità che si ha di essi, alla loro durata, alla loro origine o alle conseguenze ambientali della loro produzione e smaltimento. Il consumismo è dovuto ad ingenti somme spese in pubblicità con lo scopo di creare sia il desiderio di seguire una moda, un trend, sia il conseguente sistema di auto-compiacimento che ne deriva. Il materialismo è uno dei risultati finali del consumismo. Siamo ormai abituati a non vedere il consumismo interferire nelle nostre scelte o nella nostra vita sociale, rimpiazzando i bisogni dettati dal buon senso, sostituendo la necessità di una famiglia stabile, di una vita in comunità e di sane relazioni umane con un artificiale ed insaziabile ricerca di denaro necessario a comprare sempre più cose, per lo più inutili, che siamo stati portati a desiderare. Cose progettate per non durare, o per passare di moda in tempi sempre più brevi.


mercoledì 15 gennaio 2014

Andai nei boschi...

- “I poeti estinti erano dediti a succhiare il midollo stesso della vita.” È una frase di Thoreau che ripetevamo all'inizio di ogni riunione. Ci incontravamo dentro la grotta indiana e leggevamo brani di Thoreau, Withman, Shelley, i migliori, ma anche dei versi nostri, e nell'incanto del momento, il suono della poesia diventava magico. – disse il prof. Keating ai suoi ragazzi.
Mi sono ricordata di questo passaggio nel film L’attimo fuggente quando mi sono svegliata dopo la serata letteraria in pizzeria.
Allora mi sono fermata a pensare in quante grotte indiane sono entrata da quando ho avuto la fortuna di conoscere Dario e insieme abbiamo fondato Magic BlueRay.
Nelle scuole, nelle biblioteche, nelle librerie, nella nostra sede, in pizzeria… un’infinità di volte con un folto, foltissimo e vitale gruppo di appassionati lettori, cultori di libri e professionisti della penna e delle parole ci siamo dati appuntamento per scambiarci le nostre schegge di pensiero e continueremo a farlo, perché è la nostra linfa vitale!
Lo straripante, ironico, emozionante Dario Amadei coinvolge, cattura, anima questi incontri di bibliolettura come solo lui sa fare.
Ognuno di noi, chi con le proprie poesie, chi con i brani di altri autori, chi con le parole dettate da un’emozione appena provata, nutre e concima la sostanza dei nostri sogni e la libera nell’aria.
E così ci illuminiamo nelle notti buie, ci solleviamo nelle giornate pesanti o semplicemente diventiamo grandi mantenendo dentro di noi quel meraviglioso stupore che appartiene solo ai bambini.
Perché la bibliolettura interattiva è il “motore” che tutto muove.
Elena Sbaraglia 

lunedì 13 gennaio 2014

"Confidenzialmente". Le interviste di Michela Zanarella

Dario Amadei, scrittura creativa e biblioterapia per riuscire a volare con la fantasia

L'autore monteverdino è il fondatore con Elena Sbaraglia di Magic Blueray.


Dario Amadei è autore di libri per ragazzi ed esperto di laboratori di lettura e scrittura creativa.  Ha pubblicato quattro libri: “Astutillo e il potere dell’anello” (2004), Un mondo migliore” (2007), “Le vere fiabe dei fratelli Grimm” (2008) e Cronache di Monterotto” (2011). Della sua opera letteraria "Un mondo migliore" è stato realizzato un audiolibro, a cura di Genitin Onlus, grazie al decisivo apporto delle voci di Emilio Solfrizzi e Neri Marcorè.
Appassionato di arte, musica, cinema e teatro, si occupa  di incontri di bibliolettura interattiva, corsi di scrittura creativa ed eventi culturali. Con Elena Sbaraglia ha fondato Magic Blueray, una realtà culturale che promuove la lettura ispirandosi alla biblioterapia.

D-Cosa rappresenta per te la scrittura e come ti sei avvicinato alla narrativa per ragazzi?

La scrittura, in realtà, ha sempre fatto parte della mia vita, perché sin da quand’ero molto piccolo, forse già alle scuole elementari, sentivo la necessità di esprimermi scrivendo. Poi crescendo questa esigenza è diventata sempre maggiore, pressante, finché ad un certo punto però ci ho rinunciato. Per almeno quindici anni, dalla fine del liceo alla nascita del mio primo figlio, sotto la spinta di pressioni negative, avevo deciso di rinunciare a quella che era  la mia più grande passione. Ma quando una passione è veramente forte non si può sopprimere per sempre e così, casualmente, come chi dopo aver smesso di fumare si avvicina ad una sigaretta e per lui è la fine, perché ricomincia a fumare come e peggio di prima, quando è nato mio figlio mi sono di nuovo avvicinato alla letteratura, perché mi sembrava uno strumento utile per comunicare con lui. Ho ricominciato a leggere voracemente dei libri che erano libri per ragazzi ed ho così scoperto un’altra cosa fondamentale: gli adulti sprecano i libri per ragazzi e non li leggono mai perché li considerano libri non alla loro altezza, rinunciando in questo modo a scoprire il mondo meraviglioso, contenuto nelle storie cosiddette per ragazzi che sono poi le storie che rimangano immortali. Se ci si riflette infatti, i libri che rimangano nel tempo e nella storia della letteratura e che, dopo decine di anni che sono stati scritti, sono ancora letti sono quasi tutti libri per ragazzi, come ad esempio il Piccolo principe, Peter Pan, Pinocchio…Ho scoperto in quel periodo le opere di Roald Dahl, che mi ha fatto definitivamente capire l’importanza della letteratura per ragazzi e ha fatto nascere in me l’esigenza di cimentarmi in questo campo. Io comunque sottolineo sempre che i miei libri sono destinati ai ragazzi di tutte le età e agli adulti che sanno ancora sognare. Questo perché la letteratura per ragazzi dovrebbe essere recuperata da tutti quegli adulti che non vogliono rinunciare ad una parte bella della propria vita.


mercoledì 8 gennaio 2014

Monterotto News

La scoperta del Brancico
Oirad aveva iniziato l’anno in maniera molto confusa, ma questo era normale per lui e perciò non se ne preoccupava. Inoltre sentiva che stava per accadere qualcosa di veramente importante e si lasciava trasportare dal flusso degli avvenimenti, senza far caso alle terribili negatività che gli piovevano addosso da tutte le parti, perché, dopo quello che aveva vissuto, era ormai impermeabile ad ogni tipo di pioggia, anche la più scrosciante…
Come al solito il suo telefono squillava in maniera fastidiosa, ad intervalli regolari, ma non rispondeva, perché sapeva che a chiamare era quella persona che da anni voleva rubargli l’anima e da cui si difendeva con sempre maggiore difficoltà. Oirad si preparò, pescando a caso da una montagna di vestiti aggrovigliati da mesi su una poltrona, che però non puzzavano minimamente, visto che non sapeva nemmeno  più  sudare ed  uscì in fretta, perché in momenti come quello doveva assolutamente parlare con il Professor Avenarius.
Lo trovò che, come al solito, stava trafficando nel suo laboratorio dove passava il tempo a costruire oggetti meravigliosi, che usati nella maniera giusta, potevano rendere il mondo migliore.
- Ho proprio una cosa che sembra fatta apposta per te – gli disse dopo averlo guardato un istante  negli occhi, perché Avenarius sapeva leggere nel profondo dell’anima – Ecco prendi, è un Brancico! Mi raccomando fanne buon uso!
Quando Oirad strinse tra le mani quella strana scatola nera, con una lunga antenna e delle levette misteriose, sentì che emanava un piacevole calore.
- Bellissimo!!! – mormorò con un filo di voce – Ma a cosa serve di preciso professore?
- Il Brancico ha un potere immenso – sentenziò Avenarius – perché è in grado di reinventare la realtà rendendola migliore, ma deve essere usato nella maniera giusta e sta a te dimostrare di esser in grado di farlo. Ora però vai, ho da fare! E mi raccomando, non deludermi, che nella mia vita non mi sono mai sbagliato!!!
E così Oirad si ritrovò in strada con il Brancico tra le braccia ed incredibilmente sentiva che quello strano oggetto faceva già in qualche modo parte delle sue cose più intime e preziose.
Dario Amadei

martedì 7 gennaio 2014

"Confidenzialmente". Le interviste di Michela Zanarella

La risata dei mostri, il libro di Alexandra Censi

Alexandra Censi è nata a Gyula, in Ungheria, ma vive a Roma da quando aveva pochi anni. Nella città di Roma studia Lettere. Ha pubblicato "La risata dei mostri" per Nottetempo, nella collana narrativa.it curata e diretta da Chiara Valerio. 
Michela Zanarella la incontra per un'intervista nella rubrica "Confidenzialmente".

D- "La risata dei mostri" segna il tuo esordio nel mondo della narrativa. Cosa ti ha portato a scrivere questo romanzo e ad avvicinarti alla scrittura?

R- Non saprei con precisione. Ho ricordi confusi sulla genesi di questo libro, nella mia testa è una specie di mostro mitologico. Iniziai a scrivere con l'intento di non scrivere niente. Volevo settanta, ottanta pagine di bella lingua e di niente di più. Volevo descrivere la mente di una persona, e la città che la ingloba, andando avanti ad allucinazioni. Non dovevano essere i piedi o una trama ben costruita a portare avanti la struttura del libro: il libro doveva essere l'avanzare di una palla di luce arancione. Così è stato, ma poi ci si affeziona ai personaggi, a quelle strane entità che conosciamo e non conosciamo. Allora mi sono domandata sull'infanzia della protagonista, Francesca, e sul suo futuro. E la sua vita mi è apparsa semplicemente, tutto si costruiva da solo. Quindi, la parte più, se mi si permette, sperimentale è andata a costituire il nucleo centrale del romanzo, “Le fascinazioni”. In cui, sostanzialmente, una donna non fa nulla se non subire costantemente fascinazioni, una parola che all'epoca mi piaceva molto perché non era né Bene né Amore, ma una via di mezzo molto più pericolosa. Scrivere di Francesca è stato emozionante, perché tutto aveva un senso senza che fossi io a darlo. Credo di essermi avvicinata alla scrittura per un patto estetico e alla lettura per un bisogno fisico.

D-La risata dei mostri è il romanzo di una donna, prima bambina, poi adolescente e infine adulta, che passa dal fuoco dell’amore dei genitori alla cenere delle molte sigarette fumate col suo ragazzo, alle braci di una vita matrimoniale stuzzicata da incontri reali con amici virtuali.
Quale messaggio vuoi dare ai lettori attraverso il tuo romanzo?

R- La mia non è una narrativa di quelle che lancia messaggi. La mia narrativa vede, e dice. Punto.
Poi ovviamente possiamo trovare vari temi che vengono affrontati nel libro, e forse queste tematiche possono indirizzare il lettore verso qualcosa o qualcuno. Non so, dal tema più grande ed evidente, ossia quello della predestinazione al male, fino a quelli più latenti, come un ritorno incessante della letteratura, dell'arte, della psicoanalisi. Non mi piacerebbe neanche mandare un messaggio ai lettori. Io non sono nessuno per fare una cosa così importante, semmai sono le parole, solo loro, che possono disturbare e piacere. Le parole, una volta scritte, non sono più mie, sono le storie che si scrivono da sole, io sono parte passiva.


Diamo il benvenuto a Michela Zanarella con la sua rubrica "Confidenzialmente"


Su Librandosi si apre una nuova rubrica, "Confidenzialmente" le interviste di Michela Zanarella, curata dalla nota poetessa, scrittrice e giornalista, grande amica di Magic BlueRay.