venerdì 27 giugno 2025

La magica stanza delle meraviglie

Lavorando quotidianamente con le bambine e i bambini del Polo Zerosei siamo sempre più convinte dell’importanza di una buona e funzionale organizzazione e cura degli spazi, in relazione proprio ai bisogni dei bambini, che devono sentirsi accolti e totalmente a loro agio. Come educatrici di Nido e docenti di Scuola dell’Infanzia abbiamo il delicato compito di offrire loro stimoli e opportunità, volti a favorire in ciascuno la curiosità, la possibilità di esplorare e sperimentare, la creatività e la libertà di esprimersi, ma anche la capacità di sviluppare reciproche relazioni. Condividiamo pienamente le parole del grande pedagogista Loris Malaguzzi: «lo spazio deve essere progettato e predisposto per garantire che tutti i bambini e gli educatori si sentano a loro agio e sviluppino il piacere del fare insieme».
Muovendoci pertanto su questa scia abbiamo toccato con mano, vedendone gli effetti e i soddisfacenti traguardi raggiunti, l’importanza in questo contesto educativo della “stanza delle meraviglie", detta anche stanza immersiva. Iniziata l’esperienza già un paio di anni fa, ci siamo sempre più consolidate in questo percorso, grazie alla solida formazione che ci supporta e ci orienta e grazie all’impegno e alla passione educativa di tutte. Partendo inizialmente con una sola stanza, collaborando con un buon lavoro di squadra, l’abbiamo arredata e attrezzata, trasformandola in un ambiente corredato di luci, suoni, profumi e colori, tenui e rilassanti, un’ampia parete ricoperta totalmente di un telone bianco, sul quale proiettare video e immagini con l’ausilio del videoproiettore.
Quest’anno, in cui il tema di fondo di tutto il percorso annuale del nostro Polo ZeroUndici era centrato sul cielo, la stanza delle meraviglie ci ha permesso di offrire ai bambini esperienze veramente immersive ed entusiasmanti. Proiettando video ambientati nello spazio, tra le costellazioni e i pianeti del sistema solare, i nostri mini esploratori si sono trasformati ogni volta in piccoli astronauti, sempre più desiderosi di conoscere e di scoprire i segreti dello spazio che li affascina tantissimo. Molto utile e costruttiva è stata anche l’esperienza della stanza nei vari periodi stagionali dell’anno, in cui i bimbi si sentivano veramente immersi nella realtà che si presentava sotto i loro occhi e che li faceva balzare in piedi, accostarsi alla parete e toccare le immagini, accompagnando questi gesti con gridolini ed espressioni di meraviglia.
La caratteristica fondamentale dell’aula immersiva è proprio quella di trasformare un ambiente di apprendimento statico in un ambiente di apprendimento virtuale in cui i bambini interagiscono con gli elementi dello scenario, usando la tecnologia in maniera intelligente e costruttiva, non dominante ma interagente con gli altri linguaggi.
Molto importante in queste esperienze è la preparazione, di volta in volta in volta, di un setting adeguato: un telo sul pavimento cosparso di oggetti ed elementi naturali legati alle immagini e al contesto, oggetti con i quali, dopo la proiezione, i bambini possano interagire, cogliendo tutte le sensazioni sensoriali che percepiscono, costruendo ciò che la loro fantasia suggerisce, commentando nel frattempo fra loro e con le educatrici o maestre, le loro percezioni.
Il coinvolgimento dei genitori, invitati nel corso dell’anno a vivere con i loro bimbi pomeriggi di proiezione e attività sensoriali nella stanza immersiva, è stato sempre carico di emozioni e momenti molto toccanti. Abbiamo notato che ad alcuni brillavano gli occhi e qualche lacrima…scendeva furtivamente.
Entusiaste della validità di questa esperienza educativa e didattica di alta qualità, abbiamo deciso di trasformare un’altra aula in stanza immersiva e ne stiamo preparando l’allestimento con passione. Un altro bellissimo anno, carico di intense emozioni da vivere insieme ai nostri bambini, ci aspetta!
Suor Mariapaola Campanella, Istituto San Francesco di Sales

giovedì 26 giugno 2025

Equilibri narrativi per custodire emozioni

“Luna: maestra, maestra, fuori al cancello c’erano due signori che litigavano, erano due grandi, una femmina con i capelli lunghi lunghi e un maschio con la barba e gli occhiali e strillavano…
Sara: si li ho visti pure io e mamma mi ha tirato il braccio e mi ha detto di non guardare
Mia mamma, invece, è andata lì vicino e ha detto che si dovevano spostare perché non si può strillare come matti davanti ad una scuola
Maestra: mi sembra di capire che vi siete spaventate/i, certo, è molto brutto vedere che due persone sono così arrabbiate. Avranno avuto un motivo per litigare, come accade anche a voi quando non riuscite a condividere un gioco, o volete avere ragione a tutti i costi!
Sì, però quelli avevano una voce troppo alta, anzi altissima e pure gli occhi di fuori!
Purtroppo, quando si è molto arrabbiati, capita che non si riesca a crollare la rabbia, e così anche la voce e le parole, e certo non sono parole gentili.
Alessio: come la lava quando esce dal vulcano?
Maestra: si, hai trovato un buon esempio per spiegare come può essere rappresentata la rabbia…
Ludovica: sì, ma la lava scotta, brucia tutto, anche se è liquida.
Christian: è un’acqua rossa bollente che non si ferma fino a quando non si ferma il vulcano.
Alessio: ma tipo che si calma?
Maestra: in un certo senso potremmo dire di si
Luna: però il vulcano è una montagna non una persona, non si può arrabbiare da solo! E poi una montagna non parla, mica può litigare con qualcuno? Mica c’ha la voce? Non può strillare forte come quelle persone fuori al cancello.
Maestra: questo litigio vi ha proprio turbato…e allora cerchiamo di capire tutte e tutti insieme perché…
Tanto, nel frattempo, sono quasi le 09.00; chi sta giocando, con calma può iniziare a concludere e noi invece possiamo mettere già le sedie in cerchio. Che ne dite se prima di fare i responsabili, parliamo un po’ di quello che avete visto fuori scuola?”


Questa può sembrare una storia esagerata perché risulta difficile pensare che, davanti ad una scuola, per giunta in un orario in cui si dovrebbe svolgere serenamente l’entrata di bambine e bambini che si apprestano a salutare i familiari per trascorrere la loro quotidianità scolastica, due persone non riescano a trattenersi, che non pensino almeno di attraversare la strada e di non turbare lo spensierato passaggio scolastico con grida e frasi inopportune.
Ma, per quanto appaia una storia sgradevole e inadeguata per l’ascolto di bambine e bambini, è pur sempre una storia e chi la riceve, merita di capirla con un linguaggio a sua misura, perché non resti la paura dell’incomprensibile e perché un episodio spiacevole diventi un’opportunità con cui poter interpretare in modo semplice ed efficace quello a cui involontariamente bambine e bambini sono esposte/i, ma anche e soprattutto costituisca un’occasione per provare a comprendere un proprio vissuto a cui si fa fatica ad attribuire un significato.

Creare contesti educativi funzionali, stimolanti e rassicuranti. Per la maggior parte di noi educatrici ed insegnanti questa espressione si traduce quasi in un mantra che ripetiamo continuamente sia dentro di noi sia tra di noi; facciamo costantemente attenzione che gli spazi nei servizi siano leggibili, chiari, ordinati, che il materiale sia riposto ed organizzato perché bambine e bambini ne possano fruire in modo consapevole e generativo; ci impegniamo a predisporre laboratori ed esperienze educative in cui sia garantita talvolta l’eterogeneità, talvolta l’omogeneità, puntualmente osservando la prospettiva dell’intersezione. Siamo concordi nel concepire lo spazio esterno come l’estensione del Nido o della Scuola e quindi prevediamo che routine, attività e momenti ludici siano regolarmente trasposti in giardino durante l’intero anno e favorire così l’osservazione diretta e partecipata dei cambiamenti naturali ed atmosferici.
Allestiamo atelier in cui bambine e bambini possano confrontarsi con forme espressive artistico-creative in cui sentirsi libere e liberi di portare alla luce il loro estro, le loro capacità più raffinate, i tratti più esuberanti della loro personalità.
Infine, ma non in ordine di importanza, siamo sintonizzate su quelle preziose frequenze d’onda che ci mettono in connessione con le intelligenze multiple delle bambine e dei bambini che vivono la nostra Comunità Educante per cogliere segnali indispensabili a trasformare interventi educativi in stimoli concreti ed escogitare sempre nuove formule di pedagogia attiva, nell’ottica di un fare maieutico, di un’esplorazione che dia luce al colorato ventaglio di possibilità che è in dotazione incondizionata al panorama cognitivo di ogni bambina/o.

Quando si fa riferimento ai contesti educativi, però, siamo chiamate a valorizzare in particolar modo anche quella dimensione che coincide con la trama su cui poggiano tutte le esperienze educative, il grembo che protegge la potenzialità embrionale e il cuore che incoraggia il libero fluire dei significati.
Il contesto educativo è la Relazione. Cos’è la relazione? In cosa consiste questa misura?
Una risposta lievemente polemica potrebbe asserire che creare legami significativi sia, ovviamente, la finalità obbligatoria per attivare processi educativi efficaci.
La nostra attenzione, anzi, la nostra disponibilità alla Relazione, necessita di un’elaborazione profonda perché non si sintetizzi in un agire affettuosamente verbale, in un alternarsi di scambi verbali e gentili consegne di indicazioni, suggerimenti e proposte.
Noi educatrici ed insegnanti siamo chiamate ed essere delle Custodi Emotive e, nelle nostre Relazioni con bambine e bambini, l’esercizio binario che di continuo mettiamo in atto consiste nel registrare ed accogliere, individuare e tradurre, attenzionare e restare autentiche.
Saper stare in Relazione significa stare in movimento tra le percezioni e il senso, avere una buona angolatura di prospettiva per riconoscere la giusta zona in cui fermarsi ad aspettare, in cui procedere in punta di piedi, o, ancora, in cui intraprendere una danza scandita da ritmi che sembrano non appartenerci, che possono togliere il fiato ma che, poi, irradiano solo vibrazioni positive.
Saper stare in Relazione significa gestire diversi equilibri: l’equilibrio del nostro Io individuale, l’equilibrio individuale di chi è in relazione con noi e l’equilibrio collettivo che caratterizza la Relazione educativa.
Nell’essere custode emotiva scegliamo di allontanare le resistenze e di alleggerire il nostro sguardo da opache pendenze, per favorire il librarsi di quei pezzi di storia che, nell’atmosfera relazionale, con incertezza o con impeto, aspettano solo di essere afferrati. E, una volta presi, li trasformiamo in un gancio su cui poter fare pressione nella stretta verso i significati, i vissuti e le emozioni di cui bambine bambini ci chiedono inconsapevolmente di essere partecipi.
La nostra partecipazione, però, necessita di condizioni senza le quali non può rispondere alle aspettative di sincerità ed efficacia che sottendono all’assunzione del ruolo di custode emotiva.

Un cantante a cui in tante e tanti siamo legate/i dice a gran voce che “è tutto un equilibrio sopra la follia”. Mi permetto questa metafora perché, nel considerare la follia come una bella ed indispensabile forma di energia, come un insieme di materiale translucido di infinite opportunità, come un orizzonte di senso dal quale risalire per conoscersi, resta in ogni caso centrale la responsabilità dell’equilibrio, il mio, il loro, il nostro.

Il mio equilibrio è una capacità che nel suo essere tale non si definisce mai compiutamente, è una ricerca senza soluzione di continuità di un’armonia personale in cui i vari aspetti delle tensioni si allineano, in cui, se da un lato si attiva la frustrazione, dall’altro risponde un meccanismo riparatore il cui funzionamento è esercitato da zone cuscinetto che intervengono a mediare un sentimento di sfiducia o di delusione con un apporto positivo determinato da altri contesti da cui ricevere benessere, come una lunga corsa all’alba, come un quadro dipinto una domenica pomeriggio, come un esame di filosofia sostenuto nella sessione invernale. In questo libero gioco di compensazione si raggiunge un livello di equilibrio che ci mantiene in asse ed impedisce il disinnescarsi di dinamiche inopportune nelle relazioni educative, sia in termini di impazienza ed intolleranza, sia in un coinvolgimento eccessivo, conseguenza della necessità che le restituzioni delle bambine e dei bambini costituiscano quel risarcimento inconsciamente atteso per l’investimento personale di risorse, tempo e dedizione.

Il mio equilibrio è la migliore garanzia per diventare custode emotiva, per accettare l’altra/o in tutte le sue manifestazioni e per cogliere segnali sensibilmente criptati con naturalezza ed onestà, senza la distrazione cognitiva causata da quell’instabilità interna che offusca la nostra empatia.

Il loro equilibrio è la propensione che bambine e bambini acquisiscono nell’ entrare in contatto con situazioni complesse e nei loro tentativi di elaborarle attraverso un racconto, una canzone, un gioco, un litigio; la sicurezza che percepiscono nell’esprimere le proprie reazioni ad episodi a loro direttamente accaduti o a cui sono state/i involontariamente esposte/i (come nel caso della storia iniziale), nel dare una singolare configurazione ad una sensazione forte ed inaspettata, triste o inebriante, in un gioco di costruzioni pericolanti che se crollano fanno rumore e si disperdono, per poi poter essere ricomposte anche nello stesso modo per tante volte, fino a che non si scopre un nuovo modello a cui ispirarsi e con cui inventare.
Il loro equilibrio è figlio di una base sicura, di uno stile d’attaccamento sicuro per citare John Bowlby, una dimensione d’accudimento in cui l’accettazione positiva ed incondizionata della bambina e del bambino li ha resi liberi di sperimentare e sperimentarsi e di percorrere sentieri di scoperte alle quali hanno imparato a non sottrarsi, ad agire in autonomia sotto lo sguardo rassicurante di chi protegge e dà fiducia anche con una presenza discreta.
Per essere custodi emotive, anche noi educatrici ed insegnanti, possiamo stare in relazione con bambine e bambini adottando una presenza discreta che si avvicini delicatamente al loro equilibrio, evitando di orientarlo in direzioni parallele alla loro emotiva zona di spazio prossimale, come gli insegnamenti di Vygotskij ci ricordano.
Quello lì è il luogo dove dovremmo farci trovare, o forse ancora meglio sarebbe riuscire a fermarsi sulla soglia di quel microcosmo, prendere la mano a chi, timidamente, tiene gli occhi bassi, ma con le dita cerca proprio il nostro sostegno e stringere forte quella di chi, invece, quasi automaticamente ci si aggrappa. La difficoltà nasce nel capire i tempi, la volontà e il grado di reale maturità con i quali la bambina o il bambino cercano la nostra mano per accedere al loro microcosmo emotivo; camminare insieme ad una presenza discreta aiuta a leggere tutte le indicazioni di una mappa straniera che può essere più o meno tradotta solo con la pazienza, la delicatezza, la leggerezza dei tentativi e la caparbietà elegante dell’attesa.

Il nostro equilibrio è il flusso generato da un confluire all’interno della Relazione educativa, dove la fiducia, la speranza sottile, il rischio, l’esuberanza, l’incertezza e l’entusiasmo delle bambine e dei bambini si uniscono alla volontà, alla responsabilità, alla serietà degli occhi, delle orecchie e delle mani, alla calma, alla tenacia, alla rassicurazione delle parole e dei silenzi che descrivono il nostro essere educatrici ed insegnanti, il nostro essere custodi emotive. Se il flusso scorre liberamente, anche con qualche diga qua e là ad arginare alcune rapide improvvise, abbiamo raggiunto il nostro equilibrio, un’area affettivo-cognitiva dove c’è spazio ed ascolto per qualsiasi narrazione, pensiero, contenuto di bambine e bambini, qualsiasi loro racconto che abbia bisogno di essere illuminato, chiamato, spiegato, e, perché no, anche urlato.
Tra le più belle cornici che risaltano il nostro equilibrio, quella dorata appartiene al Cerchio Magico, a quel momento in cui non ci sono storie brutte, parole difficili, “frasi che non c’entrano niente”, quel tempo collettivo in cui le espressioni casuali di una bambina o di un bambino sono il riflesso dei pensieri di altre/i, in cui una confidenza rivelata diventa l’incoraggiamento per altre confidenze a cui manca la spinta per essere raccontate, in cui la condivisione di una situazione spiacevole a cui si è assistito e che ha creato un generale disagio rappresenta lo strumento indiscusso per portare alla luce un piccolo dolore, una paura, un brutto sogno, che sta lì e aspetta solo di poter uscire fuori senza pensare a come dirlo.

Luna: maestra mi facevano paura quelle persone che strillavano.
Sara: però stavano da soli, non c’erano i figli
Alessio: Forse non ce li hanno
Ludovica: forse stavano a un’altra scuola
Luna: secondo me stavano già a scuola, non a questa, e litigavano perché tipo lui si era scordato che doveva portare la figlia a nuoto e la mamma si è arrabbiata
Sara: no per me c’hanno due gemelli come Marco e Luigi, che dovevano fare la doccia, mettere a posto la stanza, cenare e la mamma era nervosa perché da sola tutto non ce la fa’ a farlo e il padre era tornato tardi.
Luna: lo sai maestra che ieri mamma e papà pure hanno litigato, io stavo giocando con le mie sorelline, però correvamo e pure un po’ strillavamo.
E mamma era tanto stanca e pure papà
Papà ci diceva fate piano, noi non l’abbiamo sentito e poi mamma ha preso un bicchiere con l’acqua e l’ha tirato addosso a papà,
e noi abbiamo visto e mamma ci ha sgridato
e noi siamo andate via in cameretta con la porta chiusa.
Poi papà stava zitto e stava seduto sul divano e non diceva più niente.
E poi mamma è andata in bagno e stava zitta pure lei,
poi Benedetta è andata a fare pipì, mamma si stava facendo la doccia e papà stava sempre sul divano zitto, mica guardava la televisione, zitto, per tanto tempo zitto,
pure noi non dicevamo niente perché non ci andava più di giocare, poi papà si è alzato ed è uscito, Benedetta e Flaminia si sono andate a mettere il pigiama, io dovevo fare pure cacca, tanto mamma si era finita di lavare,
però pure lei non parlava, e io ero un po’ triste perché mamma non sta mai senza parlare, c’avevamo fame ma a mamma non glielo dicevamo perché magari ci tirava l’acqua pure a noi. Però poi papà è ritornato e aveva preso le pizze e noi eravamo contente pure se non c’era quella con i würstel, poi mamma ha guardato papà e gli ha detto Grazie e lui gli ha detto prego e non era arrabbiato perché gli ha tirato l’acqua.
Maestra: tuo padre ha capito che nel dirgli grazie vostra madre gli stava dicendo anche scusa.
Christian: eh certo gli aveva tirato l’acqua!
Maestra: forse la mamma di Luna non è riuscita a trattenersi, come quelle persone che prima litigavano fuori scuola, forse era così stanca che non trovava le parole per dire al papà di Luna perché si stava arrabbiando.
Ludovica: forse prima aveva litigato con qualcuno al telefono, come papà mio ieri che faceva su e giù su e giù e diceva tante parole al telefono
Leonardo: forse era preoccupata perché non aveva finito una cosa del suo lavoro importante e aveva bisogno di più tempo.
Sara: sì pure mamma ieri è tornata tardi perché c’era la riunione.
Maestra: vedete quanti motivi stiamo trovando insieme, a volte non riusciamo proprio a fermarci, a parlare piano, ad aspettare un attimo per ritrovare la calma. Magari ci stiamo impegnando tanto, ma qualcosa è troppo forte dentro di noi.
Luna: e pure dentro i nostri genitori.
Ludovica: e pure dentro a quei signori di prima.
Alessio: però dopo se ne va.
Sara: sì ma si deve chiedere scusa
Christian: si va bene pure grazie come la mamma di Luna.
Sara: ma ha gli ha detto grazie perché ha portato le pizze.
Ludovica: sì però voleva dire grazie e scusa.
Luna: maestra scusa non l’ha detto, però quando abbiamo finito di mangiare, io l’ho vista che è andata vicino a papà e gli ha detto qualche parola sotto voce, ma era qualche parola bella perché finalmente sorrideva!”
Giulia Iuliano, insegnante scuola dell'infanzia

Contributo narrativo "Luna" di Massimiliano Scollo
Quella mattina Luna era diversa.
Attaccavo alle 10 e avevo ricevuto il consueto saluto generale dei bimbi fatto di sorrisi e abbracci e aggiornamenti su tutto quello che avevano fatto e stavano facendo nel piccolo tempo da quando erano arrivati in classe.
Tutti insieme in un accavallato e gioioso vociare inconsapevole e indifferente ognuno del proprio compagno.
Era il mio saluto universale del secondo turno, il riconoscimento delizioso che mi tributavano i bimbi felici del mio arrivo. 
Di tutti, tranne di Luna, quella mattina.
Era nel suo angolo preferito, ma di spalle, quasi chiusa al resto dello spazio e stranamente portava ancora in testa il suo cappellino viola e fiori blu, suo grande vanto.
Sapeva che era il mio colore preferito e gongolava spesso coi compagni per questa mal segreta complicità con la maestra.
Chiesi subito alla collega come mai non lo aveva levato.
“Mi ha detto che non ne ha proprio intenzione, che oggi preferisce tenerlo, che ha bisogno di calore alla testa. E anche quando ho insistito mi ha semplicemente ignorato …”
Conoscevo quella modalità di Luna sebbene raramente la avevo vista comportarsi così sapendo con quanto orgoglio e vanità era solita mostrare a tutti i suoi meravigliosi ricci ogni giorno pettinati in maniera diversa mi chiedevo cosa fosse successo quella mattina
“Guarda che treccia oggi!! Oggi ho preferito lasciarli sciolti, mi piace il solletico sul collo che mi fanno! Sai oggi ho preferito la coda, c’è il sole e in giardino corro meglio! Queste mollette viola me le ha regalate nonna ieri, brillano e vanno bene solo per i miei ricci!!”
Avrei potuto tenere un diario solo per le sue pettinature, e probabilmente non sarebbe bastato.
Ma
Quella mattina
Il cappellino copriva tutto.
Capii subito che c’era qualcosa che non andava e mi misi in una più selettiva ricezione in attesa di qualche segnale che mi aiutasse a svelare l’’arcano.
I bambini lo sanno quando possono parlare e mai a domanda diretta.
Aspettano Vicinanza, Accoglienza, chiedono silenzio sulle loro sensazioni, non hanno ancora i pennelli giusti per spiegarle, hanno bisogno della loro versione della storia per spiegare cosa sentono, perché quello che li fa stare male è di solito inaccettabile e soprattutto se il dolore viene da vicino.
Quindi la salutai con affetto ma senza aspettarmi risposta che difatti non arrivò a parte un sorrisino forzato.
Aveva gli occhi tristi, senza quel solito brillio che li contraddistingueva, quella luce vivace che affascinava chi li guardava ma spesso intimoriva quando affrontati direttamente.
Iniziai la solita routine senza mai sottolineare l’assenza delle sue solite risposte o le sue normali dinamiche.
Il tempo fino a mensa passó veloce e Luna rimase isolata, poco propensa ai soliti giochi con le compagne e i compagni, ma soprattutto insolitamente silenziosa alle provocazioni e ai semplici scherni di gruppo.
Non era una indifferenza consapevole, un trucco sapiente per scoraggiare i compagni però.
Luna era tutta chiusa, persino le lentiggini erano spente, e le sue labbra sembravano serrate coscientemente, obbligate da chissà quale mostro terribile a non rivelare sorrisi.
In giardino mi portai subito a sedere molto vicino al suo posto solito, alla fine del gradone che costeggiava lo spiazzo, dove terminava contro il muro di cinta.
Da lì Luna aveva visuale su tutto ciò che accadeva e soprattutto era il luogo dove tra il prato e il muro nascevano le margherite più belle e soprattutto più alte che lei sceglieva con cura per farne dei braccialetti intrecciandone i gambi.
Lei arrivò subito tralasciando le abituali corse e rincorse all’arrivo in giardino.
Si era portata un libro, non uno tra i suoi preferiti. Aveva pierino e la rabbia.
E iniziò a scorrere le pagine velocemente, con sguardo attento 
Io rimasi in silenzio
Il cappellino non lo aveva mai levato, nemmeno a mensa, e le domande insidiose dei bimbi le avevo allegramente accantonate raccontando le avventure che avremmo affrontato al campo scuola.
Luna guardò il libro per ben due volte e iniziò a guardarmi di soppiatto, poi lentamente si avvicinò.
“ma bisogna arrabbiarsi per forza?” Chiese
“si può essere solo tristi vero? O prima o poi mi cresce un mostro dentro?
La guardai
“Certo che si può essere solo tristi ma è importante capire se si arrabbiati! A volte è difficile sapere se si è arrabbiati…”
Risposi
“Ah” declamó senza guardarmi
Aspettai un attimo dandole tempo per pensare poi aggiunsi
“Guarda che sole eppure fa freddo con questo vento. Per fortuna hai il tuo cappellino viola!”
Rimase in silenzio
“Ah” di nuovo” é vero fa ancora freddo. Infatti stamattina sul divano in salone c’erano 2 coperte… e papà non parlava molto. A lui non piace il freddo. Dice sempre che vorrebbe stare tutto l’anno in calzoncini. E pure il latte stamattina era freddo e papà mi ha messo solo una merendina invece che 2 e anche troppo nesquik anche se sa che non mi piace!”
Lo sguardo le cambió. E iniziò a tamburellare la gamba velocemente e a darsi piccoli colpetti con la mano destra.
“A volte anche i papà sono tristi e la tristezza spesso fa dimenticare le cose sai..”
Le dissi
“Secondo me era proprio arrabbiato e aveva il mostro dentro ! Ieri sera quando ero a letto ho sentito anche tante urla con mamma e stamattina era anche vestito uguale a ieri sera… e poi…”
Si alzò in piedi e d’improvviso mi si mise di fronte e con malcelata rossa pulsante rabbia si levò il cappellino
La chioma le esplose da sotto rivelando i bellissimi ricci oggi arruffati e scomposti, alcuni intrecciati malamente agli altri e uno sbuffo di ciocche sulla tempia sinistra le si alzò buffamente quasi rivoltandosi per tutto il tempo che era stato intrappolato sotto il pile del cappellino agitandolo elettricamente!
“ e poi non mi ha neanche pettinato e quando gliel’ho ricordato stamattina mi ha detto che non c’era tempo ma invece c’era e gliel’ho detto e mi ha strillato ma io non avevo fatto niente e lui si è girato e mentre se ne andava mi ha detto fatteli fare da mamma e io gli detto che mamma la mattina non c’è e lui mi risposto soltanto “appunto lo so” e non ho capito e siamo rimasti senza dirci nulla fino in macchina ma quando mi salutato mi ha abbracciato di più e mi ha chiesto scusa ma quando è andato via si è anche scordato di farmi ciao alla finestra”
Aveva raccontato tutto con un respiro solo e aveva gli occhi lucidi e quando se ne accorse si sedette con il viso verso il muro di cinta.
Senza guardarla dissi rovistando nella mia borsa
“Guarda un po’ che ho! L’ho comprato ieri ma ancora non l’ho usato. Un elastico per capelli viola!!! Che ne dici? Posso permettermi di farti la coda anche se non sono brava come papà…!! Io non neanche figlie femmine. Mi piacerebbe tanto fartela!”
Non rispose ma si avvicinò di schiena alla mia sinistra aspettando che lo facessi.
“Papà è l’unico che me la sa fare senza farmi male. Ci mette tantissimo ma non mi fa male. Anche mamma è bravissima ma fa più veloce e certe volte mi tira troppo..”
Inizia a legarle i ricci lentamente e con attenzione poi le dissi
“Anche i papà e le mamme talvolta non sanno se sono arrabbiati sai. E il mostro verde tutto felice gli cresce dentro di nascosto e gli fa dimenticare le cose. Ma tuo papà ti ha già chiesto scusa e anche se si è dimenticato di farti ciao sono convinta di una cosa"
“Cosa???”
“Che quando oggi lo rivedrai, se tu gli farai il tuo sorriso più bello e gli darai il tuo abbraccio più speciale e il tuo bacetto magico ti guarderà e sarà felice. Vedrà la tua coda fatta male da me e capirà e probabilmente non si scorderà più di pettinarti..”
Non rispose, finii di fare la coda e le dissi
“Fatto”
Si alzò, la controlló, sembrò mediamente soddisfatta e con gli occhi tornati vivaci e le lentiggini di nuovo brillanti mi regalò un sorriso e si voltò correndo verso gli amici e le amiche.
Mentre correva via mi parve stranamente di vedere un piccolo mostro verde spiaccicato sull’asfalto dello spiazzo ma forse, dico forse era solo una semplice, innocua, piccolissima bacca schiacciata…
Massimiliano Scollo

giovedì 5 giugno 2025

Petra e il giardino zen

Petra e il giardino zen: continuità educativa tra nido Peter Pan e infanzia Montarsiccio attraverso natura, narrazione e senso del sé”

Nel delicato passaggio dal nido alla scuola dell’infanzia, la continuità educativa assume un ruolo fondamentale per garantire ai bambini un’esperienza armonica e significativa. A partire dalla lettura dell’albo illustrato Petra di Marianna Coppo, nasce un progetto pedagogico incentrato sulla creazione condivisa di un giardino zen: uno spazio sensoriale e simbolico dove i bambini possono esplorare, trasformare e lasciare tracce del proprio percorso.

Petra: la meraviglia dell’essere in divenire
Petra non è una semplice pietra. È montagna, isola, uovo, creatura. L’albo illustrato di Marianna Coppo, con tratti essenziali e un umorismo delicato, racconta la forza dell’immaginazione infantile e la capacità trasformativa che caratterizza l’identità dei più piccoli. Petra si adatta, cambia, si reinventa: proprio come i bambini nel loro processo di crescita.
Questo albo diventa così un prezioso strumento per affrontare, insieme ai bambini, il tema del cambiamento legato al passaggio tra servizi educativi. Non con paura o interruzione, ma con stupore e possibilità.
Un progetto ponte: il giardino zen condiviso
Nel dialogo tra nido e scuola dell’infanzia, nasce un progetto comune: la costruzione di un giardino zen sensoriale. Uno spazio naturale, semplice ma evocativo, dove ogni bambino può esplorare con i sensi, giocare con gli elementi e scoprire il valore del tempo lento.
Il giardino viene costruito gradualmente da entrambi i gruppi, con momenti condivisi e attività parallele:
• Manipolazione di sabbia, acqua e pietre
• Decorazione di sassi-personaggio ispirati a Petra
• Racconti all’aperto, osservazione della natura
• Piccoli rituali di passaggio: lasciare una pietra, una parola, un gesto


Obiettivi pedagogici
Il progetto si fonda su alcune finalità chiave:
• Promuovere una continuità vissuta, non solo organizzata, attraverso esperienze comuni
• Rafforzare il senso di identità e appartenenza dei bambini
• Favorire il linguaggio simbolico, corporeo ed emotivo
• Educare alla cura, all’osservazione e alla trasformazione.

Il ruolo dell’adulto: accompagnare e osservare
Educatrici e insegnanti diventano traghettatori di senso. Non solo progettano, ma osservano, ascoltano, documentano. Ogni gesto dei bambini, ogni modifica del giardino, ogni parola lasciata accanto a un sasso è una traccia di crescita, una storia che vale la pena raccontare. La documentazione visiva e narrativa di questo percorso assume un valore formativo anche per le famiglie, coinvolte nella restituzione finale.

Conclusione
La continuità educativa può diventare un’esperienza poetica e concreta. Con Petra come guida, e con un giardino come teatro naturale di relazioni e significati, i bambini imparano che cambiare non è perdere, ma trasformarsi. Che il nuovo non cancella il prima, ma lo accoglie. E che ogni pietra può diventare qualcosa di meravigliosamente unico.
Angela Melillo

martedì 29 aprile 2025

Le emozioni dei bambini: oggi mi sento…

Nella sezione dei grandi dell’asilo nido Aquilanti alle 9.30, come ogni mattina, S. è l’ultimo bambino ad arrivare in sezione. Saluta la mamma in fretta e furia, entra correndo con l’espressione furba di chi già sa cosa farà, e infatti si dirige subito nel suo spazio preferito dove lo stanno aspettando i suoi amici disavventure.
La richiesta di noi educatrici a sedersi a mangiare la frutta viene sommersa da schiamazzi continui e dal baccano dei giochi smontati e rimontati in continuazione.
Cantando il ritornello in rima di una canzoncina piano piano riportiamo le cose al loro ordine abituale.
Mangiato frettolosamente l’ultimo pezzettino di frutta, arriva il momento della contesa dei bambini nel proporre la lettura della mattina e ognuno scalpita affinché venga scelta la sua storia preferita.
- Il lupo! Il lupo!, esclama B. (l’albo dal titolo Io sono il più forte)
- I mostri! I colori dei mostri!, richiede L. con tono esuberante (l’albo dal titolo I colori delle emozioni)
Una volta deciso cosa raccontare, ci sediamo tutti in un Cerchio Magico che rappresenta un girotondo, simbolo di pace e amicizia, che accoglie tutti fino a diventare sempre più grande. Più si fa grande il Cerchio più si arricchisce il nostro bagaglio e ci aiuta a guardare da prospettive diverse. Le relazioni si intrecciano in un linguaggio universale e il Cerchio acquisisce il sapore del mistero e il profumo dell’unicità.
La scelta dei bimbi cade su un albo illustrato molto laborioso, I colori delle emozioni di Anna Llenas, ricco di proposte emozionali tanto che i piccoli attori coinvolti, contenitori di vitalità effervescente, improvvisamente si posizionano seduti in rispettoso silenzio. Con occhi curiosi cominciano a percorrere un sentiero misterioso, quello della fantasia, dai colpi di scena inaspettati che colgono i loro visi di sorpresa. Ma sono anche momenti di riflessione, in cui si fanno attenti, con uno sguardo differente e curioso, e si mostrano desiderosi di ascoltare ed essere ascoltati.
Rievocando sensazioni vissute durante il loro quotidiano ci aiutano a comprendere, sin da piccolissimi, ciò che provano.
Alessandra Altobelli

venerdì 18 aprile 2025

La stanza immersiva al nido: uno spazio educativo tra sensorialità, emozioni e relazione!

Nel panorama delle pratiche educative rivolte alla prima infanzia, la stanza immersiva si configura come un ambiente innovativo, capace di offrire esperienze profonde e significative per lo sviluppo del bambino nei suoi primi mille giorni di vita. Si tratta di uno spazio multisensoriale in cui luci, suoni, immagini e materiali si combinano per dare forma a un luogo di esplorazione, relazione e crescita.
Un ambiente che parla ai sensi
Secondo le neuroscienze e la pedagogia attiva, i bambini piccoli apprendono attraverso il corpo e i sensi. Il cervello in costruzione ha bisogno di stimoli multisensoriali per rafforzare le connessioni neuronali e sviluppare competenze cognitive, motorie ed emotive. In questo senso, la stanza immersiva rappresenta una risposta educativa coerente con i bisogni evolutivi del bambino.
Luci che cambiano intensità e colore, suoni naturali o musicali, immagini in movimento che si proiettano sulle pareti o sul pavimento: ogni elemento contribuisce a costruire un’esperienza di apprendimento non lineare, ma profonda, emotiva, estetica. L’ambiente diventa un “terzo educatore”, come suggerito da Loris Malaguzzi, capace di influenzare positivamente i processi di scoperta, relazione e identità.
Un luogo di calma e regolazione emotiva
La stanza immersiva non è solo uno spazio di stimolazione, ma anche un ambiente di contenimento emotivo. Può essere pensata come uno spazio “lento”, in cui il bambino ritrova un ritmo naturale, rallenta, si riconnette con sé e con l’altro. In un contesto educativo che spesso è ricco di stimoli, la stanza immersiva offre la possibilità di fare esperienza del silenzio, della meraviglia, dell’ascolto profondo.
Grazie alla modulazione degli stimoli, diventa uno strumento prezioso per accompagnare i bambini nel riconoscimento e nella regolazione delle emozioni. Può sostenere momenti di transizione (ad esempio l’ambientamento), di rilassamento (dopo il pasto o prima del sonno), oppure di esplorazione narrativa e simbolica attraverso immagini e suoni evocativi.
Esperienza, relazione, linguaggio
Dal punto di vista pedagogico, la stanza immersiva è anche uno spazio che favorisce la relazione educativa. L’adulto non ha un ruolo direttivo, ma di presenza sensibile, osservativa e accompagnante. I bambini esplorano in autonomia, condividono emozioni e scoperte, comunicano attraverso il corpo e lo sguardo. Si creano momenti intensi di connessione, sia tra pari che con gli educatori.
Inoltre, l’ambiente stimola la produzione di linguaggi plurimi: corporei, simbolici, emotivi, pre-verbali. Le immagini proiettate possono diventare narrazione, gioco simbolico, stimolo per la verbalizzazione e la costruzione del pensiero. L’ambiente immersivo diventa così uno spazio di alfabetizzazione sensoriale ed emotiva, oltre che cognitiva.
Verso una pedagogia dell’esperienza e dell’attenzione
L’introduzione di una stanza immersiva in un nido non è semplicemente una scelta tecnologica, ma una scelta pedagogica. Richiede cura, progettazione, intenzionalità educativa. Ogni proposta deve essere pensata in funzione del gruppo di bambini, dei loro bisogni e interessi, in coerenza con la visione educativa del servizio.
La stanza immersiva può diventare uno spazio di ricerca anche per il team educativo: un luogo dove osservare, documentare, riflettere sui linguaggi dell’infanzia, sui tempi dell’apprendimento, sulla qualità della relazione. In questo senso, si inserisce in una pedagogia dell’esperienza, della lentezza, dell’attenzione, capace di restituire centralità al bambino come soggetto attivo e competente fin dalla nascita.
La stanza immersiva al Nido Peter Pan: un’esperienza sensoriale tra meraviglia, emozioni e crescita!


Al Nido Peter Pan, ogni ambiente è pensato per accompagnare i bambini in un viaggio quotidiano fatto di scoperte, relazioni e benessere. Tra gli spazi più speciali, la stanza immersiva rappresenta un vero e proprio angolo magico, dove luci, suoni, colori e immagini si fondono per dare vita a esperienze coinvolgenti e significative.
Un luogo che accoglie con dolcezza
La stanza immersiva del Nido Peter Pan è stata progettata per offrire un’atmosfera rassicurante e avvolgente. Appena si entra, ci si immerge in un mondo morbido e tranquillo, dove ogni stimolo è pensato per far sentire il bambino accolto, al sicuro e libero di esplorare. Le luci soffuse, i suoni naturali e le immagini proiettate sulle pareti creano un ambiente che calma, rilassa e stimola la curiosità.
Scoprire il mondo con tutti i sensi
Nei primi anni di vita, l’apprendimento passa soprattutto attraverso l’esperienza sensoriale. La stanza immersiva è uno strumento educativo straordinario perché permette ai bambini di vedere, ascoltare, toccare e muoversi in un contesto ricco e stimolante. Dal cielo stellato alla foresta che prende vita, dall’acqua che scorre alla sabbia che danza, ogni scenario proposto diventa occasione per scoprire, immaginare e comprendere il mondo che li circonda.
Uno spazio per sentire e raccontare le emozioni
Al Nido Peter Pan, grande attenzione è rivolta al mondo emotivo dei bambini. La stanza immersiva diventa anche uno spazio per esplorare le emozioni in modo dolce e giocoso. Un colore caldo può raccontare la gioia, un suono lento può evocare la calma, un’ombra che si muove può accompagnare un momento di introspezione. In questo ambiente, i bambini imparano a riconoscere ciò che sentono, a dare un nome alle emozioni e a trovare nuove modalità per esprimerle.
Inclusione e unicità
Uno degli aspetti più belli della stanza immersiva è la sua capacità di accogliere ogni bambino, con le sue peculiarità, i suoi tempi e i suoi modi. È uno spazio inclusivo, dove tutti possono partecipare, anche chi ha bisogni educativi speciali o difficoltà sensoriali. Gli stimoli possono essere calibrati, modificati o personalizzati, rendendo ogni esperienza accessibile e significativa per ciascuno.
Un supporto prezioso per gli educatori
Per le educatrici e gli educatori del Nido Peter Pan, la stanza immersiva è anche uno strumento di osservazione e progettazione pedagogica. In questo ambiente si colgono emozioni, interessi, linguaggi non verbali e relazioni tra i bambini. È uno spazio che favorisce attività strutturate ma anche momenti liberi, dove la fantasia prende il volo e l’apprendimento si fa spontaneo e gioioso.
La stanza immersiva del Nido Peter Pan non è solo uno spazio, ma un’esperienza. Un’esperienza che lascia tracce di meraviglia, sicurezza e crescita nel cuore di ogni bambino che la vive. Perché educare, al Peter Pan, significa anche creare luoghi che parlano ai sensi, alla mente e soprattutto al cuore.
Angela Melillo

sabato 29 marzo 2025

Decostruire gli stereotipi di genere al nido: il potere trasformativo degli albi illustrati

Nel contesto educativo del nido, ogni esperienza, relazione o oggetto comunicativo contribuisce alla costruzione dell’identità del bambino. In questo delicato e potente processo, anche i libri assumono un ruolo fondamentale. In particolare, gli albi illustrati rappresentano uno strumento pedagogico prezioso per accompagnare bambine e bambini in una crescita libera da stereotipi, offrendo nuove narrazioni, immagini e modelli possibili di sé e dell’altro.
Infanzia e identità di genere: un processo in divenire
La costruzione dell’identità di genere ha inizio già nei primi anni di vita, attraverso un insieme complesso di esperienze, osservazioni e interiorizzazioni. I bambini, fin dalla più tenera età, ricevono messaggi più o meno espliciti su ciò che “è da maschio” o “da femmina”. Questi messaggi possono essere veicolati da parole, gesti, giochi, vestiti, ma anche – e forse soprattutto – dalle storie che ascoltano e dalle immagini che vedono.
La ripetizione di ruoli convenzionali – la principessa da salvare, il cavaliere coraggioso, la mamma premurosa, il papà lavoratore – contribuisce a costruire un immaginario rigido e limitante. L’educazione al nido ha il compito, e l’opportunità, di spezzare questa catena, offrendo contesti narrativi e relazionali aperti, plurali e non stereotipati.
Albi illustrati: strumenti educativi per l’equità
Gli albi illustrati, per loro natura, parlano al bambino attraverso due linguaggi fondamentali: quello visivo e quello narrativo. Le illustrazioni colpiscono direttamente l’immaginazione e creano mondi possibili; le parole accompagnano, amplificano o contrastano il messaggio visivo, aprendo spazi di riflessione.
Scegliere albi illustrati che rappresentano personaggi fuori dagli schemi tradizionali – bambine avventurose, bambini sensibili, famiglie variopinte, ruoli fluidi – significa seminare nel bambino la possibilità di riconoscersi in modalità differenti da quelle imposte dalla cultura dominante. È un gesto educativo di responsabilità e cura.
La lettura condivisa come spazio pedagogico
La lettura ad alta voce, soprattutto in contesti come il nido, non è mai un atto neutro. È un incontro tra adulti e bambini, mediato dalla narrazione. Quando un’educatrice legge un albo con attenzione, intonazione e partecipazione, crea uno spazio di relazione che stimola l’ascolto, l’identificazione e la scoperta.
In questo spazio, le storie diventano strumenti per esplorare emozioni, ruoli, relazioni e desideri. L’adulto può fare domande, stimolare osservazioni, accogliere interpretazioni: “Che cosa pensi di questo personaggio?”, “Ti è mai capitato qualcosa di simile?”, “Avresti fatto la stessa scelta?”.
Scegliere con cura: una responsabilità pedagogica
Non tutti gli albi sono adatti a un’educazione libera da stereotipi. Alcuni, anzi, perpetuano modelli rigidi, con ruoli e comportamenti legati al genere in modo implicito o esplicito. Per questo, è importante che le educatrici e gli educatori si formino in modo critico, imparino a leggere anche tra le righe e si dotino di strumenti per selezionare albi coerenti con una prospettiva di genere inclusiva.
Tra i criteri utili per la scelta:
• Protagonisti/e non convenzionali
• Rottura degli schemi familiari tradizionali
• Linguaggio non sessista e inclusivo
• Storie che valorizzano diversità, collaborazione, empatia.
All’interno del Nido Peter Pan il gioco simbolico si è rivelato una potente chiave educativa per promuovere lo sviluppo dell’identità, delle relazioni affettive e della libertà di espressione nei bambini e nelle bambine. Il progetto documentato, frutto di osservazioni quotidiane e riflessioni pedagogiche, affronta in modo concreto e sensibile il tema degli stereotipi di genere nella prima infanzia, mostrando come già dai primi anni di vita sia possibile costruire contesti educativi accoglienti, liberi da pregiudizi e capaci di stimolare il pensiero critico.
Il potere delle storie: la maglietta rosa
Tutto ha preso forma a partire da un episodio reale e spontaneo: un bambino,si bagna la maglietta durante un’attività e l’educatrice gli fa indossare una maglietta rosa, l’unica asciutta disponibile. Alla vista del padre, questo semplice gesto diventa oggetto di stupore e imbarazzo. La risposta del bambino, però, è disarmante: “Ma papà, è rosa come l’amore!”.
Un’affermazione tanto semplice quanto potente, che racchiude il senso più profondo dell’intero progetto: educare alla libertà significa permettere ai bambini e alle bambine di essere ciò che sono, senza vincoli imposti da aspettative sociali o culturali.
Il gioco simbolico come specchio dell’esperienza vissuta:
Attraverso l’osservazione sistematica del gioco simbolico nelle varie sezioni del nido (Piccoli, Medi e Grandi), gli educatori e le educatrici hanno potuto rilevare come i bambini, indistintamente dal genere, utilizzino gli oggetti e gli spazi messi a disposizione per esplorare il mondo e le relazioni.
Cucine, bambole, culle, travestimenti, macchinine, trenini: ogni oggetto diventa strumento per rielaborare esperienze, affetti, ruoli. I bambini allattano le bambole, le mettono a dormire, si travestono, si prendono cura degli altri. Lo fanno con naturalezza, senza preconcetti, imitando i gesti degli adulti in un gioco che è al tempo stesso scoperta e costruzione di sé.


L’importanza dell’atteggiamento educativo
Uno degli elementi centrali di questo percorso è stata la riflessione sul ruolo dell’adulto. Le educatrici, osservando i bambini, hanno osservato anche sé stesse. Accogliere significa mettersi in ascolto autentico, rinunciare a giudizi preconfezionati e creare uno spazio in cui ogni bambina e ogni bambino possa esprimersi liberamente.
Il nido, quindi, non è solo un luogo di cura e apprendimento, ma diventa terreno fertile per un’educazione affettiva, sociale e culturale. Un luogo in cui si leggono storie che parlano di emozioni, di uguaglianza, di diversità. Un luogo in cui si impara che i colori non hanno genere, e che ogni gesto di cura è universale.
Educare alla parità: un atto politico e culturale
Questo progetto ci ricorda che l’educazione alla parità non è un obiettivo da rimandare alla scuola primaria o all’adolescenza, ma una semina quotidiana che inizia fin dai primi anni di vita. Attraverso il gioco, le relazioni, le parole, gli sguardi.
Come recita una delle citazioni conclusive del documento:
“Stimolare i desideri delle bambine e dei bambini, educare al rispetto e alla libertà di poter essere ciò che si sceglie è importante già dal nido.”
In un mondo ancora attraversato da disuguaglianze e stereotipi, esperienze come questa ci indicano una direzione chiara: educare alla libertà significa educare al rispetto, all’empatia, all’autenticità. E questo comincia proprio lì, dove tutto ha inizio: nel gioco.
Gli albi condivisi e utilizzati durante il progetto:
1. Una bambola per Alberto – C. Zolotow, C. Delacroix – Ed. Giralangolo
Un albo che mostra come la cura e la dolcezza non abbiano genere: un bambino desidera una bambola per allenarsi a diventare un buon papà.
2. Il trattore della nonna – A. Roveda, P. Domeniconi – Ed. Giralangolo
La nonna è esperta di trattori e crostate: una figura femminile fuori dagli stereotipi.
3. Anche i papà piangono – C. Ravizza, S. Covelli – Ed. Sassi
Un albo che valorizza l’espressione emotiva nei papà: “Anche i papà hanno un cuore colmo di emozioni!”
4. Uno di questi non è come gli altri – Barney Saltzberg – Ed. Salani
Un inno all’inclusione e alla bellezza delle differenze.
5. Ci sono bambini e bambine – Cristina Petit – Ed. Valentina
Un invito a mescolarsi e scoprirsi uguali e diversi allo stesso tempo.
6. Evviva le unghie colorate – Alicia Acosta – Ed. Nube Ocho
Un bambino ama mettersi lo smalto: il piacere dei colori va oltre il genere.
7. Nei panni di Zaff – M. Salvi, F. Cavallaro – Ed. Fatatrac
Zaff gioca con bambole e sogna di fare il ballerino: un racconto sulla libertà di espressione.
8. Tea e Marcello carota e pisello – M. Hood – Emme Edizioni
Due bambini diversi che si completano: Tea non è un pisello, Marcello non è una carota.
9. Chi sono? – Caroline Dell’Ava – Ed. Terre di Mezzo
Un albo poetico sull’identità mutevole, legata al momento e alle emozioni.
10. Io sono foglia – A. Mozzillo, M. Balducci – Ed. Bacchilega
Ogni giorno possiamo essere diversi: accettarsi e accogliere le emozioni.
11. I cinque malfatti – B. Alemagna – Ed. Topipittori
Essere imperfetti può renderci unici e felici.
12. La prima volta che sono nata – V. Cuveillière, C. Dutertre – Ed. Sinnos
Una riflessione poetica sulle tappe della crescita e dell’identità.
13. Piccolo uovo – F. Pardi – Ed. Lo Stampatello
Alla scoperta delle diverse tipologie di famiglia, tutte felici e valide.
Angela Melillo 

sabato 22 marzo 2025

IMPARANDO A RACCONTARE E RACCONTARSI

“Nella Scuola sulla Collinetta bambine e bambini hanno appena finito di fare merenda; se una persona entrasse in classe in quel momento, potrebbe facilmente intuirlo già solo dalle briciole di crackers che colorano di pallini gialli il marmo secolare del pavimento. E non c’è nulla da fare; questi pallini sono proprio impertinenti, perché, per quanto la maestra tenti di spazzarli via, ecco che spuntano nuovamente. Sembra proprio che abbiano delle zampette agili e veloci che si prendono beffa della scopa!
Finalmente è tempo di giocare e, mentre si conclude il ripristino, c’è già qualcuna e qualcuno pronta e pronto a scegliere quale avventura inventare, o in quale storia partecipare.
Nei cinque minuti che precedono i numerosi inizi, inutile dire che frastuoni e schiamazzi fanno da accompagnamento sonoro all’allegra atmosfera, ma poi, dal momento in cui tutti i giochi prendono forma, quel disordine rumoroso si acquieta e ad un ascolto attento e ad uno sguardo curioso e perspicace non possono certo sfuggire quelle sfumature e quei dettagli che rendono la fantasia uno spettacolo irresistibile. C’è chi costruisce sulla pedana un palazzo di dieci piani con le costruzioni; chi schiera su un tavolo due file di dinosauri e li prepara ad uno scontro preistorico all’ultimo grido; chi invece, al tavolo di fronte, si diletta con la tombola delle stagioni; chi, nell’angolo sotto la finestra dalla quale si vede passare il treno (quello vero!), sta costruendo una ferrovia sui cui binari viaggiano delfini, squali e balene, e chi si è nascosto dietro ad alcune sedie e si sta raccontando un segreto.
Luna tiene tra le mani il libro che ha portato questa mattina, gliel’ha regalato ieri suo padre e non riesce a separarsene. Eva e Lorenzo le chiedono di poterlo leggere insieme sulla panchetta; lei da subito sembra restia, poi, però, acconsente a patto che a sfogliare le pagine sia solo lei. La maestra, dopo essersi arresa alla resistenza dei pallini gialli, si è seduta al tavolo rotondo per aiutare Alessio che sta provando a fare l’incastro della fattoria, quello che proprio non riesce a completare e, mentre lo incoraggia a scrutare le estremità dei tasselli, non può fare a meno di ascoltare come Luna racconti il libro alla sua amica e al suo amico, come moduli la sua voce per imitare la bambina protagonista e come si impegni a ricordare quelle frasi e quelle parole apprese solo da un paio di giorni. La lettura di Luna è veramente suggestiva, tanto che le si avvicinano anche Paolo, Elisa, Fabian e Stella, e senza dire nulla, si mettono per terra vicino alla panchetta e, seduti a gambe incrociate, ascoltano Luna che narra la “storia di Priscilla”.
Elisa è entusiasta e, appena la sua compagna chiude il libro, si precipita dalla maestra per chiederle di leggere Priscilla quando faranno il ‘cerchio’. La maestra, però, ha capito che questo libro ha un valore speciale per Luna e risponde ad Elisa affermando che, se la sua compagna vorrà, avrà piacere di leggerlo alla classe, anzi potrebbero farlo anche insieme, dal momento che ne ha imparato quasi tutte le frasi. Elisa, allora, torna da Luna e le chiede se le va di leggere la storia di Priscilla insieme alla maestra durante il Cerchio Magico. Luna, quindi, si gira subito verso la maestra con aria titubante, ma, ricevendo nello stesso istante il suo sorriso rassicurante, le mostra il libro e le dice: “Che lo puoi leggere dopo, quando ci mettiamo ‘sedie a cerchio’ e io mi siedo vicino a te?”


Quella maestra potrei essere io, e come me, tutte quelle educatrici, educatori ed insegnanti convinte e convinti che le storie e i racconti siano la chiave per intessere una rete pedagogica funzionale e significativa.
Io sono Maestra Giulia e mi piace pensare che dove finiscono la mia voce, i miei occhi, le mie orecchie e i miei gesti, iniziano le parole di un racconto, quelle scritte in oggetti magici come gli albi illustrati, ma anche e soprattutto quelle che narrano le storie dell’affascinante mondo che è l’io individuale di bambine e bambini. Non mi riferisco, però, solo alle parole che si presentano nei ruscelli cristallini di chi ha l’irrefrenabile voglia di farle scorrere libere in una trasparenza disarmante; esistono storie anche in quelle parole che si nascondono nelle ombre di una voce acerba, in una pausa prolungata e accompagnata da profondi sospiri, in un sorriso che riempie un intero viso, nelle goccioline salate che rendono liquidi due occhi che sbattono le palpebre per mandarle via.
Il Racconto è un orizzonte di senso, è un luogo non luogo della conoscenza, un Iperuranio di possibilità che si districano in un processo continuo di scoperta, immaginazione e confronto, perché è nel Raccontare e nel Raccontarsi che l’essere umano ed in particolar modo bambine e bambini fanno esperienza di sé e di chi orbita intorno la loro persona. Attraverso la narrazione si aprono stanze illuminate da accecanti significati che non possono essere oscurati dalla frenesia di un fare compulsivo caratteristico dell’agire adulto; i significati dei racconti vanno accolti, presi per mano, alcune volte persino presi in braccio, vanno stretti in un contatto di ascolto e fiducia, vanno protetti dalle intemperie della superficialità e dall’esigenza data dall’uniformare, dal semplificare, dal dover tradurre ogni pensiero in concetti omologamente riconosciuti.
La narrazione è un potente strumento di esplorazione emotiva, è un canale in cui si mescolano affluenti di segreti, confidenze, aneddoti, dolori, traumi, che non sempre sono espressi in una versione manifesta e chi, come me, decide di essere un custode emotivo, non può non fare i conti con un senso di responsabilità che pulsa ogni qual volta una bambina e un bambino si mette a bordo di una zattera e attraversa quel canale, il suo canale, dove può imbattersi in una cascata o, anche solo in una piccola rapida, e scopre di aver bisogno di un giubbotto di salvataggio. Non è detto, però, che debba necessariamente navigare su acque impetuose, potrebbe aver bisogno di aiuto per riflettere la sua immagine nella limpidezza di un fiume amico. Essere custodi emotivi significa sapersi muovere con leggerezza, dinamicità e destrezza nello sfondo di esperienze possibili che si delineano nella dimensione cognitivo-sensoriale del Racconto; significa essere libere e liberi da fardelli stereotipati, da ostacoli pregiudizievoli, da aspettative inopportune che minano la sincerità di Storie autentiche e spontanee.
Sono un’insegnante di Scuola dell’Infanzia del Comune di Roma da circa dieci anni, ma mi esercito ad essere una custode emotiva sufficientemente buona da diversi anni; ho iniziato ascoltando le storie che mi raccontavano le bambine e i bambini nelle case-famiglia e nei centri di accoglienza, quando ancora non sapevo mettere filtri e mi facevo spugna della tristezza e della speranza di ciascuna e ciascuno di loro. Poi, però, ho deciso di cambiare rotta e di intraprendere un viaggio di crescita professionale e personale, percorrendo i sentieri policromi che la dimensione scolastica mi avrebbe destinato ed imparando a riservare uno spazio inevitabile e puntuale al Racconto, al mio racconto individuale, al racconto delle parole scritte e a tutti quei racconti espressi e celati dalle bambine e dai bambini.
Tra i cinque campi d’esperienza delle Indicazioni Nazionali per la Scuola dell’Infanzia sono presenti due sfere d’indagine che legittimano la continua attenzione pedagogica dedicata al Racconto, ovvero, I Discorsi e le Parole e Il Sé e l’Altro, sfere d’indagine che si estendono nell’ampia finalità educativa rivolta allo sviluppo dell’Identità, che a sua volta si esprime all’interno di un orizzonte di senso affine, di un caleidoscopico sfondo di condizioni ed esperienze possibili rappresentato dalla Relazione. Come educatrice d’infanzia ed insegnante il mio obiettivo educativo è di creare un movimento dialettico tra questi elementi, di tracciare un itinerario che metta in comunicazione aspetti le cui entità rivelino la propria efficacia in una connessione reciproca e continuativa e credo di poter affermare che il contesto che si presta in modo più congeniale a questa comunione di intenti sia inevitabilmente il Racconto.
Luna chiede alla maestra di poter leggere la storia di Priscilla quando si fossero messe/i sedie a cerchio, ovvero quando sarebbe giunto il momento della routine, buona pratica, strategia educativa, metodologia didattica, tutte definizioni corrette per descrivere quello che a me ed altre esploratrici ed altri esploratori narrativi piace chiamare Cerchio Magico.
Bambine e bambini sono invitati a fare il Cerchio, e questo termine è, appunto, la metafora educativa per rappresentare la circolarità che caratterizza le relazioni: il legame individuale che ciascuna bambina e ciascun bambino stringono con l’insegnante, il rapporto della classe con la figura educativa di riferimento, le relazioni che intercorrono tra bambine e bambini, non necessariamente piacevoli ed esclusive, anzi, spesso dinamiche conflittuali tendono ad evidenziare maggiormente il loro carattere circolare. Nel cerchio si assorbono gli spigoli e si allungano le braccia, poggiandosi sulle spalle della propria vicina o del proprio vicino vicendevolmente, dove potersi sentire sicure e sicuri e riconoscersi come parte indivisibile e unica di un Tutto leale e protettivo.
Ho avuto la fortuna di imparare a condurre il Cerchio Magico da degli esperti della narrazione emotiva, due professionisti che trasformano questo strumento in un’occasione di scoperta, immaginazione e confronto per accogliere con entusiasmo e delicatezza il pensiero e la creatività delle bambine e dei bambini, invitandoli a prendere posto al ricevimento delle loro emozioni.
Elena Sbaraglia e Dario Amadei non sono solo due tra i più coinvolgenti ed appassionati Formatori di Roma Capitale, sono due pionieri della narrativa emotiva ed i loro insegnamenti, nonché il loro esempio, costituiscono per me e per numerose educatrici e insegnanti il vero stimolo a considerare il Racconto la più redditizia delle opportunità educative in termini di identità, relazione ed autostima.
Ecco perché ogni giorno non siamo solo educatrici, educatori ed insegnanti; nei nostri Cerchi Magici, infatti, siamo anche e soprattutto Cacciatrici e Cacciatori di Storie, dove le Storie non sono altro che spazi privilegiati in cui stare e da cui poter risalire per spingersi il più possibile alla ricerca del proprio discorso interiore e, nello stesso tempo, del discorso dell’io altrui.

“La maestra invita le bambine e i bambini a sedersi, mentre Luna continua a stringere il suo libro a sé.
-Maestra, che ci leggi il libro di Luna?- afferma euforica Elisa.
-Se Luna è d’accordo, mi farebbe molto piacere!-risponde cauta la maestra. Luna, allora, posiziona la sedia vicina a quella dell’insegnante e appoggia l’albo sulle gambe. Dopo numerosi solleciti a prendere posto, finalmente l’inevitabile cigolio delle sedie e l’esuberante vocio insistente iniziano a placarsi; è allora che le compagne e i compagni orientano la loro curiosa attenzione su Luna che, cercando lo sguardo complice della maestra, si rivolge alla classe e pronuncia l’inesorabile frase: - cosa vediamo nella copertina di questo libro?
Lorenzo: c’è una bambina con un cespuglio in testa tutto rosso fuoco.
Eva: sembra ‘Ribelle’.
Elisa: macchè ‘Ribelle’, quella c’ha i capelli più lunghi e più arancioni!
Alessio: e poi mica è la storia del cartone, quella era di cavalieri, questa invece mi pare una bambina.
Stella: a me Ribelle non mi sta simpatica, però neanche questa, a me mi sembra che è arrabbiatissima.
Paolo: è arrabbiata perché gli hanno bruciato i capelli, guarda come vanno a fuoco!
Manuel: forse chiamano i pompieri!
Stella: sì sì è arrabbiata, forse perché hanno scarabocchiato il suo disegno.
Elisa: sembra che ha una nuvola di rabbia in testa.
Paolo: gli si vede pure la gola.
Eva: no quella è la tonsilla.
Luna, allora, afferma - Questa è Priscilla e sì, è molto arrabbiata perché deve andare alla festa di Carnevale e non riesce a trovare il suo scettro perché è una regina, e siccome non lo trova, non può essere una vera regina e quindi si arrabbia tantissimo e i capelli iniziano a bruciarsi!-
La maestra aggiunge: - Vi ricordate Roberto che era così arrabbiato da sputare fuori quella cosa grossa grossa e tutta rossa, A Priscilla invece si bruciano i capelli… E invece la vostra rabbia come è fatta?-
Il libro non è ancora stato letto, ma i pensieri di bambine e bambini hanno iniziato a danzare in un libero gioco con la loro immaginazione e le loro emozioni.”

Giulia Iuliano, insegnante scuola dell'infanzia








venerdì 14 marzo 2025

La sfida dell’inclusione attraverso gli albi illustrati

L’unicità dell’inclusione...
Il potenziale inclusivo degli albi illustrati!
La sfida dell’inclusione attraverso gli albi illustrati.
L’inclusione è un principio fondamentale dell’educazione contemporanea, che mira a garantire a ogni bambino e bambina pari opportunità di apprendimento, indipendentemente dalle proprie caratteristiche personali, sociali o culturali. Nella scuola dell’infanzia, questo principio si traduce nella creazione di ambienti accoglienti e stimolanti, in cui ciascun bambino possa sentirsi valorizzato e parte integrante della comunità.
Uno degli strumenti più efficaci per promuovere l’inclusione a questa età è l’albo illustrato. Grazie alla combinazione di immagini evocative e testi semplici, gli albi illustrati rappresentano un potente mezzo per affrontare temi legati alla diversità, all’empatia e all’accettazione dell’altro.
Gli albi illustrati pertanto offrono molteplici vantaggi per favorire l’inclusione nella scuola dell’infanzia:
1. Accessibilità linguistica e cognitiva
Le immagini giocano un ruolo fondamentale nell’accesso alla narrazione, permettendo anche ai bambini con difficoltà linguistiche o bisogni educativi speciali di comprendere e partecipare attivamente alla lettura. Questo rende l’albo illustrato uno strumento adatto a classi eterogenee, in cui la padronanza della lingua può variare.
2. Rappresentazione della diversità
Gli albi illustrati possono offrire modelli positivi di diversità, presentando protagonisti con disabilità, appartenenti a culture diverse o con famiglie non tradizionali. Questo aiuta i bambini a riconoscere e accettare le differenze come parte naturale della società.
3. Sviluppo dell’empatia
Le storie illustrate permettono ai bambini di immedesimarsi nei personaggi e nelle loro emozioni. Attraverso la narrazione, i piccoli lettori imparano a comprendere le esperienze degli altri e a sviluppare atteggiamenti di rispetto e solidarietà.
4. Promozione del dialogo e della condivisione
La lettura condivisa di un albo illustrato stimola la discussione e la riflessione. Gli insegnanti possono utilizzare i libri come punto di partenza per affrontare temi importanti, incoraggiando i bambini a esprimere le proprie opinioni e a confrontarsi con punti di vista diversi.
Per sfruttare al meglio il potenziale inclusivo degli albi illustrati, gli insegnanti possono adottare alcune strategie:
• Selezionare libri che rispecchino la diversità della classe, in modo che ogni bambino possa riconoscersi nelle storie e sentirsi rappresentato.
• Leggere ad alta voce con espressività, per coinvolgere i bambini e facilitare la comprensione del testo.
• Porre domande aperte e stimolare la riflessione, chiedendo ai bambini cosa pensano dei personaggi e delle loro esperienze.
• Utilizzare attività creative collegate al libro, come disegni, giochi di ruolo o drammatizzazioni, per approfondire i temi trattati.
Gli albi illustrati sono strumenti preziosi per affrontare la sfida dell’inclusione nella scuola dell’infanzia. Attraverso storie coinvolgenti e immagini suggestive, aiutano i bambini a sviluppare empatia, rispetto e consapevolezza della diversità. L’uso consapevole di questi libri da parte degli insegnanti può contribuire a creare un ambiente scolastico più accogliente e inclusivo, in cui ogni bambino si senta valorizzato e parte della comunità.
Alla scuola infanzia Montarsiccio si è sperimentato che l’utilizzo di un albo illustrato non è solo una semplice lettura ma una pratica educativa che utilizza la lettura e il confronto sui libri per favorire lo sviluppo emotivo, cognitivo e sociale dei bambini nella scuola dell’infanzia. Questa metodologia non si limita alla semplice lettura di storie, ma coinvolge i bambini in un dialogo attivo con il testo, stimolando riflessioni, emozioni e interazioni significative. Attraverso la lettura di storie che affrontano temi come la paura, la rabbia, la tristezza o la gioia, i bambini imparano a riconoscere e comprendere le proprie emozioni. L’interazione con i personaggi e le situazioni narrative aiuta i piccoli a identificarsi con le esperienze raccontate e a trovare strategie per affrontare le difficoltà della vita quotidiana. Inoltre, attraverso domande aperte e attività legate alla lettura, si sviluppa il pensiero critico e la capacità di fare collegamenti tra la storia e le proprie esperienze. Attraverso la magia dei libri e il confronto con gli altri, i piccoli imparano ad affrontare le proprie emozioni, a costruire relazioni significative e a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che li circonda.
Angela Melillo