domenica 3 luglio 2011

Marco Lodoli

Marco Lodoli è uno scrittore un po’ atipico nel panorama letterario italiano. È uno dei pochi che difende ancora dei valori che da sempre sono stati alla base della grande letteratura e che purtroppo ultimamente si stanno perdendo. Gli scrittori troppo spesso al giorno d’oggi piegano la loro ispirazione alle regole commerciali. Danno in pasto al pubblico dei prodotti non più genuini che servono unicamente a soddisfare le tendenze della moda, senza avere più la pretesa di fare tendenza. Lodoli non è così. Per lui lo scrivere è ancora prima di tutto un’esigenza personale: ha bisogno di esprimersi attraverso la letteratura per trovare le risposte ai grandi dubbi della sua esistenza e per dare un senso alla sua vita. Non ha dei veri e propri modelli culturali anche se sono sicuramente vicini al suo modo di essere, tutti quegli artisti che amano sconfinare nell’inconscio, nel metafisico, nell’onirico.
Kafka, Landolfi, Fellini vengono guardati con interesse dal Lodoli che fa inoltre trasparire una certa attenzione per la psicanalisi Junghiana.
È possibile rintracciare nell’opera di Marco Lodoli un percorso letterario che rappresenta sicuramente anche una ricerca spirituale, con l’idea della morte spesso in primo piano.
Il suo romanzo d’esordio “Diario di un millennio che fugge”(1986) è un’opera molto complessa, per  contenuti e per struttura narrativa, in cui “Ogni pagina ci sorprende con la sua concentrazione ingegnosa e con la ingegnosa invenzione di immagini e di figure”( P.Citati).
È un lavoro molto valido, con cui Lodoli ha “Impressionato i critici più spietati, quelli che si scannano per un avverbio”( M. Lodoli- Il vento)
Ma poi lo scrittore ha deciso in piena autonomia, spinto probabilmente da un’esigenza interiore, di cambiare strada e forma espressive. Nasce così la trilogia de  “I principianti”,tre romanzi brevi (“I fannulloni”, “Crampi e “Grande circo invalido”) scritti tra il ’90 e il’93. I motivi di questa scelta? Facciamo parlare lo stesso Lodoli:
“Potrei farfugliare qualche motivazione letteraria, ma cosa conta, cosa ci importa? Non so nulla dell’unica cosa che vorremmo tutti sapere, della sola materia che vorremmo fosse chiara e dispiegata fin dall’inizio, ossia della morte. Di fronte ad essa ogni conoscenza traballa e cade e siamo tutti principianti, perché un sapere prima dell’esperienza sembra impossibile.(…)”
Lo stile si fa comunque più lineare e questa materia, pur così grave viene trattata in maniera disinvolta, quasi irridente. Su questa esperienza si innesta sicuramente “Il vento”(1997), forse il più sorprendente dei lavori di Lodoli che in questo romanzo scende in campo al fianco dei suoi personaggi per duellare personalmente con la morte. Ma è una lotta impari, dall’esito scontato anche perché non è possibile sperare nell’aiuto di nessuno.
“Credo che Dio sia un bravo commerciante, un imbroglione insomma: da lui compriamo la vita a caro prezzo, rata dopo rata. Giorno dopo giorno, fatichiamo per darle un senso e un valore e poi gliela restituiamo per niente, in un respiro strozzato”
Irridendo la morte, mancandole di rispetto, si può forse esorcizzare la paura che incute, ma non la si può sconfiggere.
Ed è così che Lodoli nel 1998 approda all’esperienza quasi mistica del suo romanzo “I fiori” che rappresenta un viaggio iniziatico e catartico alla ricerca del senso della vita. Il protagonista si purifica filtrandosi attraverso una serie di esperienze dure, a volte anche aberranti che alla fine lo fanno giungere alla “stanza chiusa”, dove acquisisce la cognizione dell’armonia dell’universo e ne diventa il custode.
La ricerca spirituale di Lodoli sembra giunta al suo traguardo: auguriamoci che non sia così e che il suo percorso letterario si arricchisca presto di nuovi interessanti capitoli.
Dario Amadei


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