giovedì 28 maggio 2020

Nati per raccontare: l'approccio Lok


Mi chiamo Filomena Lok, ho 26 anni e sono, senza dubbi, una #nataperraccontare. Lettrice accanita e inguaribile ricercatrice di storie sin dalla prima infanzia (ogni notte supplicavo mamma e papà di inventare qualche storiella, ricattandoli, in caso contrario, di non andare a nanna), a 18 anni ho scoperto il meraviglioso mondo Magic BlueRay, grazie ad un regalo molto speciale da parte di un mio caro zio: il Corso di Scrittura Creativa Step by Step. Avanzando nella mia intrigante storia d’amore con libri, storie e parole, decido di intraprendere un percorso universitario che possa coniugarsi in qualche modo con questa mia indole innata. E allora perché non allargare gli orizzonti ed esplorare gli universi linguistici di altre lingue? Ecco. La Facoltà di Lingue, Letterature Straniere e Traduzione, è ciò che fa per me. Dalla Triennale alla Magistrale, i miei studi proseguono brillantemente: ogni giorno scopro qualcosa di entusiasmante, e la lingua mi seduce, mi ispira, tremendamente fascinosa, con i suoi universi inesplorati, le sue inafferrabili sfaccettature. Guardandomi attorno però, mi accorgo all’improvviso che c’è qualcosa che non va. Come mai altri studenti, colleghi, amici non se la spassano come me? Questo interrogativo diventa ancora più incombente, quando inizio la mia esperienza da insegnante. Comincio a notare che i miei alunni rabbrividiscono davanti alla parola grammatica; entrano in crisi perché non ricordano cosa abbinare alle etichette passato remoto, simple past, pretérito indefinido, pluscuamperfecto, present perfect, futuro anteriore, e così via. Mi guardano disorientati, e a tratti terrorizzati quando chiedo loro -come si racconta una storia in italiano-? Il generale sconfortante mal di lingua che mi circonda inizia a preoccuparmi, attanaglia la mia mente, irrompe nei miei sonni e nei miei sogni. Com’è possibile? Poi, all’improvviso, l'epifania. 
Stavo approfondendo alcuni risultati della mia tesi di ricerca sui Segnali Discorsivi nel parlato spontaneo Italiano e Spagnolo, quando ad un tratto mi accorgo che la risposta era in quelle righe. Gli studi sostengono che questi item linguistici sono incontrollabili e inconsapevoli; ma i miei dati parlavano chiaro: i parlanti sono in grado di usarli sistematicamente per realizzare effetti stilistici o soddisfare esigenze socio-interazionali. Mostrano cioè, di saperli usare con consapevolezza. Consapevolezza metalinguistica. Ecco, questa è la risposta che cercavo. 
La strumentalizzazione dell’apprendimento delle lingue a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni oscura e annienta gli aspetti piacevoli e motivanti di questa incredibile avventura. Quante volte ascoltiamo osservazioni come “Eh ormai senza l’inglese, non si fa più niente”, “Eh ora, se non sai almeno due lingue straniere, non sei nessuno”. Le esigenze esterne legate al mondo lavorativo e scolastico, dipingono le lingue straniere come “cose che bisogna sapere” per adempire requisiti, per ottimizzare il curriculum, per accumulare punti in graduatoria. “Devo studiare inglese o spagnolo perché devo prendere la certificazione, superare l’esame, non farmi rimandare, andare bene alla verifica.”, sono le risposte dei miei alunni al “quiz di ingresso”. In questa ottica gli apprendenti di tutte le età vivono l’esperienza di imparare una lingua, come la meccanica acquisizione (il più delle volte memoriale) di pacchetti di conoscenza pre-confezionati, senza i quali non sono conformi alle richieste esterne. È indubbio che la competenza poliglotta oggigiorno sia estremamente necessaria, ma questa visione “utilitaristica” è il primo grande ostacolo ad esperienze di apprendimento serene, rilassate e soprattutto comunicativamente di successo. Da qui nasce l’idea dell’Approccio Lok. Accanto alla motivazione proveniente dagli obiettivi esterni (o per utilizzare un tecnicismo della scuola psico-pedagogica, estrinseci), risvegliare negli apprendenti il piccolo innato linguista che giace assopito, in attesa di essere sollecitato. 
Gli studi sul plurilinguismo e l’inter-comprensione, suggeriscono che la lingua madre è il primo e più potente strumento che possediamo per imparare altre lingue, al contrario della tendenza cosiddetta nativespeakerism, che impone un distacco innaturale dalla propria lingua di partenza per raggiungere il livello ideale di competenza del parlante nativo. Il primo passo per imparare una lingua straniera è conoscere la propria lingua, in profondità. Come? Attraverso la consapevolezza metalinguistica: osservare l’uso della lingua, esplorare, andare oltre la superficie linguistica e scoprire come le parole si collegano tra di loro, e come queste relazioni, a loro volta, trovano il loro perché nel mondo circostante. Da qui muoversi in seguito verso la lingua che vogliamo imparare, creare un dialogo tra le due, sorprendersi di fronte alle differenze, incuriosirsi dinanzi alle analogie, riflettere criticamente. Non si può pretendere di imparare un’altra lingua, se facciamo un uso inconsapevole e totalmente meccanicistico della nostra. 
Arrivati a questo punto, la mia storia di insegnante e linguista si ricongiunge con quella da #nataperraccontare. Quale terreno migliore per approcciarsi alla metariflessione linguistica se non la scrittura creativa, visto che il 90% della nostra esperienza quotidiana linguistica è fatto di “racconti”? Attraverso la tecnica Step by Step di Dario Amadei, come ho sperimentato io stessa, gli apprendenti imparano a padroneggiare i processi della narrazione; allo stesso tempo, con l’Approccio Lok sono guidati nell’esplorazione consapevole dei mezzi linguistici che usano per percorrere la rampa. Risvegliano, lentamente il linguista assopito che attende impaziente. Parallelamente, procedono alla stesura di un racconto in inglese o spagnolo, mettendo in gioco le risorse riscoperte e riattivate e consolidando così i mezzi linguistici della comunicazione narrativa anche in lingua straniera. In questo modo, stimolando la creatività, la competenza interlinguistica si potenzia, e imparare una lingua diventa un’avventura tutta da scoprire e… raccontare!
Filomena Lok Locantore

domenica 17 maggio 2020

I 10 anni di Magic Blueray

Non è facile raccontare in poche parole e con poche immagini i dieci anni di Magic, ci abbiamo però provato in questo video che parla di noi





Dario Amadei e Elena Sbaraglia

www.magicblueray.it

giovedì 14 maggio 2020

La metafora del sottomarino giallo nei servizi educativi

Viviamo tutti in un sottomarino giallo 
Sottomarino giallo, sottomarino giallo
E i nostri amici sono tutti a bordo
Molti altri vivono accanto
E la band inizia a suonare
(Beatles - Yellow submarine)

Quando negli anni settanta ascoltavo “Yellow submarine” dei Beatles il cuore mi si riempiva di gioia e percepivo con tutto me stesso che un futuro radioso mi stava attendendo. Non avrei mai immaginato che quel famoso sottomarino cinquant'anni dopo, durante i giorni tristi e grigi del Coronavirus, sarebbe diventato una metafora potente, capace di trasmettere dei messaggi importanti e di indicare una via di salvezza. 
Ad esempio, nelle scuole e nei nidi che vengono troppo poco nominati dall'opinione pubblica, la soluzione per riprendere l'attività potrebbe essere proprio salire su dei piccoli yellow submarine in grado di affrontare impavidi il mare infestato dal Coronavirus. 
Innanzitutto il sottomarino è giallo e questo porta bene e spinge all'ottimismo, perché è del colore della bandiera un tempo conosciuta come bandiera di “quarantena” con cui si dichiarava che tutto l’equipaggio era in buone condizioni di salute e si richiedeva il permesso di dirigere all’ormeggio in un porto straniero. 
Immagino ogni piccolo gruppo di bambini con le sue educatrici o insegnanti, salire a bordo del suo sottomarino che sarà a tenuta stagna, niente potrà entrarci dall'esterno e non ci saranno contatti con gli altri equipaggi. Questo permetterà di limitare e controllare la diffusione del contagio, prendendo ovviamente degli accorgimenti all'interno degli spazi, che verranno semplicemente guardati con occhi diversi, senza che questo possa scatenare turbe o nevrosi. In questo modo, parafrasando i Beatles, gli amici saranno tutti a bordo, molti altri navigheranno accanto in sicurezza e finalmente la band ricomincerà a suonare perché non possiamo permettere che i nostri bambini appassiscano nel silenzio. 
Dario Amadei

martedì 12 maggio 2020

La filosofia del sole di Michela Zanarella

Con grande piacere vi annunciamo l'uscita del nuovo libro di poesie di Michela Zanarella. 
Che sia la nostra poetessa preferita è cosa nota, ma ci piace ripeterlo tutte le volte che possiamo e questa volta ci sembra l'occasione giusta per invitarvi a farvi abbracciare e illuminare dalle sue parole.
"Innamorarsi significa
radunare l’alba negli occhi."
Dalla quarta: "C'è tanto sole in questi nuovi versi di Michela Zanarella, un sole splendente, che rinnova il rapporto della poetessa con il mondo, che muta l'originario sguardo malinconico e a volte addirittura triste, in un qualcosa di dinamico, in un invito, fatto prima a se stessa e poi agli altri, a scendere a patti con i problemi della vita, affrontarli, viverli con ardore, col fiato caldo, nella dimensione di chi ha scoperto l'infinito e ci può entrare senza avere paura di nulla."

La filosofia del sole, Michela Zanarella, Ensemble edizioni

Intervista Nati per raccontare

Dario Amadei ed Elena Sbaraglia in dialogo con Laura Catini su Nati per raccontare, Castelvecchi editore, ospiti della pagina Mystery Artroom