giovedì 17 dicembre 2020

Schegge di Nati per raccontare: La via della cura in dialogo con MariaGiovanna Luini

Quegli incontri speciali che aprono alla meraviglia... Iniziate a percorrere la vostra via della cura, accendete la vostra fiamma vitale.
Per rivedere la puntata vai sulla pagina di Nati per raccontare o, se non hai facebook, clicca qui



sabato 5 dicembre 2020

Come riconoscere le emozioni

"Come riconoscere le emozioni", il terzo incontro di bibliolettura interattiva e indagine narrativa sul benessere, è andato oltre ogni previsione perché quando si decide di mettersi in gioco, le emozioni si librano in aria sicure e forti. I libri scelti hanno aperto le danze e le parole ci hanno abbracciato. Buone letture! 

Giochi cattivi di Massimo Donati. Dario Amadei lo racconta per tutti quei ragazzi che crescono passando attraverso paure ed errori, ma il consiglio è di non rinunciare ad esprimere tutto ciò che si prova. 

L'ospite di Margherita Nani. Claudia Gasparri ci fa riflettere sull'alternanza tra un uomo spietato privo di emozioni e una ragazzina che non lo teme, anzi riuscirà a stupirlo e a fargli scoprire le emozioni. Un libro che suscita emozioni contrastanti in chi lo legge. 

Il profeta di Gibran. Il libro scelto da Cinzia non ha bisogno di presentazioni. L'accompagna da tutta la vita e in sua compagnia attraversa tutte le emozioni a seconda delle varie fasi del suo esistere. 

La rilegatrice di storie perdute di Cristina Caboni. Carolina Ragucci lo sceglie perché è stato il libro giusto al momento giusto, che le ha dato il coraggio di non smarrirsi tra le emozioni che si provano ma di accettarle e viverle. 

La misura eroica di Andrea Marcolongo. Laura racconta, attraverso il libro che l'ha scelta, diversi piani emotivi, dalla sofferenza all'amore, legati tra loro da un abbraccio avvolgente che non può mai mancare. Voler bene a tutte le emozioni che proviamo. 

Le parole di Laura sono per tutte quelle emozioni che all'inizio si sceglie di sopprimere per andare avanti senza slanci e cadute, ma poi, crescendo, si comprende di non poterle soffocare perché altrimenti non si vive, ci si lascia trasportare dalla corrente. Conoscere le proprie emozioni e ascoltarle per interagire con se stessi e con gli altri. 

Un viaggio chiamato vita di Banana Yoshimoto. Per Elena Sbaraglia, il libro delle emozioni dell'esistenza, tutte quelle sensazioni a cui non dobbiamo porre resistenza ma dobbiamo far fluire dentro e fuori di noi. Per quel viaggio chiamato vita che è fatto di felicità e stupore, di malinconie e sofferenze ed è comunque il nostro riflesso.

martedì 24 novembre 2020

LA TECNICA DI NARRAZIONE CREATIVA STEP BY STEP. VIAGGIO NEL MONDO DELLE STORIE

Aperte le iscrizioni al corso certificato di formazione LA TECNICA DI NARRAZIONE CREATIVA STEP BY STEP. VIAGGIO NEL MONDO DELLE STORIE in collaborazione con il Centro Phrònesis

                         

venerdì 13 novembre 2020

Nuova uscita "Cesco nel bosco"

 


Cesco nel bosco è una filastrocca raccontata da Dario Amadei e illustrata da Mirella Di Biagio. È il viaggio di un bambino un po’ pauroso, ma anche coraggioso in un bosco un po’ pieno di inganni, ma anche tanto magico. Volete accompagnarlo?

Eclettico, ironico, poco razionale, molto sognatore, Dario Amadei è medico, scrittore, formatore, esperto di biblioterapia e si definisce un cacciatore di storie. Ha ideato la tecnica di narrazione creativa Step by step e nel 2010 ha fondato, con Elena Sbaraglia, l’impresa culturale Magic BlueRay.
Mirella Di Biagio vive a Roma e lavora come graphic designer. Dal 2010 è art director associato di QID - Quartetto Imperfetto Design. Per lei la grafica è progettazione, cultura, interpretazione creativa del mondo che ci circonda. La sua indole multipotenziale si esprime anche in altre attività, come il ritratto artistico, l’artigianato, l’illustrazione.

Età di lettura 3 - 7 anni
Cesco nel bosco di Dario Amadei, illustrazioni di Mirella di Biagio, è disponibile in formato cartaceo su Amazon

venerdì 6 novembre 2020

Come vivere l'amore

I libri scelti dai partecipanti per Come vivere l'amore, il secondo degli incontri di bibliolettura interattiva e indagine narrativa sul benessere, hanno raccontato di tutte le sfumature e i colori che questo sentimento regala. Buone letture!

Dario Amadei con L'insostenibile leggerezza dell'essere di Milan Kundera ci parla della grande forza dell'amore. Ci sono persone che rinunciano a tutto in nome dell'amore: Thomas, il protagonista, si trova a desiderare Thereza che rappresenta la luce (ma che poi volge nell'oscurità) e Sabina che rappresenta la notte

Claudia Gasparri con Tatiana & Alexander di Paullina Simons ci parla di un amore romantico in contrapposizione a Il lungo sguardo di Elizabeth Jane Howard che ci racconta invece quando un amore provoca dolore

Antonio Trimarco con Stoner di John Williams getta delle luci sulle difficoltà di vivere l'amore, le scelte fatte da Stoner sono contro l'amore. Tutto il libro trabocca comunque di questo sentimento: quello paterno per la figlia, quello vero per l'amante e quello difficile con la moglie

Laura Cerioni con L'amore fatale di Ian McEwan ci introduce in un amore che spesso sconfina nelle patologie. A volte, conoscere se stessi è già difficile e questo influisce molto all'inizio di una relazione che si può rivelare poi sbagliata perché si proiettano i propri fantasmi sull'altro

Patrizia Ponsicchi con I ponti di Madison County di Robert James Waller ci racconta l'amore vero, unico, che emoziona. Importante credere che anche le sconfitte in amore non debbano andare a vuoto perché possono trasformarci in una persona migliore

Paola Gasparri con La porta di Magda Szabò ci parla della bellezza di quel sentimento che ci fa aprire progressivamente all'altro mettendosi a nudo, senza paura di essere feriti

Carolina Ragucci con Cime tempestose di Emily Bronte ci racconta un amore unidirezionale, sconvolgente, che distrugge. I sentimenti, però, quando sono buoni, fanno comunque stare bene e bisogna viverli anche se non corrisposti

Elena Sbaraglia con Fedeltà di Marco Missiroli pone una domanda: non cedere alle tentazioni significa veramente essere fedeli? Oppure con quella rinuncia si tradisce se stessi? La risposta prova a darcela Mio amato Frank di Nancy Horan in cui i protagonisti sono disposti a tutto pur di vivere il loro amore, non scendendo però a compromessi totalizzanti per mantenere invece intatte le loro identità

domenica 11 ottobre 2020

Come essere sereni

Come essere sereni, il primo degli incontri di bibliolettura interattiva e indagine narrativa sul benessere è stato molto interattivo e d'ispirazione. I libri scelti dai partecipanti hanno suscitato stimoli importanti che continuano a lavorare dentro di noi per meglio focalizzare l'idea di serenità. Buone letture!

Follie di Brooklyn di Paul Auster ci racconta di come prendersi del tempo per rigenerarsi in quelle oasi di serenità che sono i nostri hotel esistenza. Grazie Dario 

L'amore ai tempi del colera di G. G. Marquez ci racconta la possibilità di giungere ad una serenità matura che fa dire "ne è valsa la pena". Grazie Carolina 

Tigre di Polly Clark ci racconta come la serenità a volte sia una sensazione tattile che arriva nel momento stesso in cui si tocca il libro. Per Claudia, che ringraziamo, la serenità è in quella descrizione della neve che ti trasporta nei lontani luoghi della Sibera e ti avvolge.

Il libro della giungla di Rudyard Kipling ci racconta un'esperienza sensoriale che regala serenità oltre che per la trasposizione narrativa nel mondo animale e naturale, anche per gli elementi interattivi che le edizioni Ippocampo hanno inserito per la gioia non solo dei bambini ma anche degli adulti. Grazie Rossella

L'amante del vulcano di Susan Sontag, che tutto racconta tranne che di serenità, in realtà, grazie a Laura, ci insegna che la serenità è nell'attività stessa di lettura, soprattutto quando la vita è una continua eruzione, ma si sceglie di sedersi su una poltrona a leggere un libro.

Kitchen di Banana Yoshimoto ci racconta che dare attenzione alle piccole cose, come possono essere gli utensili, la preparazione dei cibi, il calore avvolgente della cucina, ci rende sereni. Vivere nel qui e ora è serenità. Grazie Luana

Il piccolo principe di A. De Saint Exupery ci racconta che grazie ai riti, rendere un giorno diverso dagli altri, attenderlo e poi viverlo è un aiuto verso la serenità, quella serenità che Lydia Davis in Inventario dei desideri ci racconta perché non riusciamo a viverla e quando, invece, la viviamo grazie all'accettare di non poter cambiare le cose che non si possono cambiare, per giungere ad Andromeda Heights di Banana Yoshimoto che racconta come poterla rendere stabile nella nostra vita, nonostante mille e più turbamenti. Grazie Elena 



giovedì 24 settembre 2020

Quando a parlare sono le storie a Lanuvio LibrIntorno

Sabato 19 settembre, in una piazza panoramica ai Castelli Romani, con un tram d'epoca a farci compagnia, abbiamo partecipato a Lanuvio LibrIntorno su invito dell'Associazione CastelliCult, intervenendo alla tavola rotonda Leggere/Scrivere: un approccio terapeutico. I nostri compagni di parole sono stati Giacomo Tortorici, Direttore presso il Sistema Bibliotecario Castelli Romani, Federico Trentanove, antropologo e referente per la Società Italiana di Medicina Narrativa e Simone Tempia, scrittore di Vita con Loyd. Insieme a Teresa Madonia, presidente di CastelliCult e direttrice artistica di Lanuvio LibrIntorno, che ha ideato e coordinato l'evento, abbiamo dato alle storie la loro meritata visibilità, in un momento in cui il timore e l'impatto pandemico spianano la strada ad un'inerzia culturale che però non ha minimamente scalfito il grande entusiasmo degli organizzatori. Come ci insegna Momo di Michael Ende, la narrazione viene in aiuto e riporta le cose nella giusta dimensione e proprio questo è successo, su un palco caldissimo, non solo per il sole che ci ha decisamente baciato. Giacomo ha raccontato di come le storie siano giunte da lui per salvarlo da una predisposizione caratteriale egoriferita, ma soprattutto, per mostrargli il percorso da intraprendere con la sua dolce Lulù. Federico, invece, ha parlato del potere terapeutico delle storie quando un evento doloroso, come può essere una malattia, vorrebbe far sentire solo la sofferenza che può essere sconfitta grazie anche alla relazione narrativa medico paziente. Noi, da cacciatori di storie quali siamo, non potevamo non raccontare che la scrittura e la lettura sono strumenti utili nella vita di tutti i giorni, che le storie esistono già dentro di noi e che dobbiamo solo dar loro voce attraverso i libri che possono diventare i nostri migliori amici. Simone ha rivelato che nelle sue storie non cerca di prevedere ciò che i lettori vorrebbero leggere, ma trasferisce su carta il suo mondo, le sue paure e le sue gioie, i suoi momenti di vita e li affida al potere narrativo che congiunge chi scrive con chi legge, perché riconoscersi in quelle righe è ciò che rende magica una lettura. 
Ritrovate un tempo per voi e concedetevi un buon libro, magari uno di quelli presentati nelle due giornate letterarie a Lanuvio, che hanno tenuto compagnia ad un pubblico affezionato ed emotivamente coinvolto. Grazie a tutti, è stato bello essere lì con voi. 
Dario e Elena 


giovedì 10 settembre 2020

Pillole di bibliolettura del Caffè Letterario virtuale a MagicLand

Pillole di bibliolettura

Ci sembra giusto inaugurare il nostro Caffè Letterario virtuale con un video di qualche tempo fa, in cui parliamo di tre libri per noi molto importanti.
Grazie a tutti per esserci sempre e a presto per le nuove proposte

martedì 4 agosto 2020

Si parla di Nati per raccontare

L'ANGOLO DELLA LIBROTERAPIA (dalla pagina Il profumo delle pagine dei libri)
Buonasera a tutti, dopo un mese di vacanza, torna la nostra rubrica che vi da appuntamento ogni primo lunedì del mese per un libro "terapeutico".
Oggi vi propongo un saggio, che vi darà a 360° gradi il senso di ciò che intendo quando dico che un libro è "terapeutico".
di Dario Amadei e Elena Sbaraglia
Un libro che vi condurrà lungo un sorprendente viaggio, dalla narrazione creativa alla biblioterapia.
Passando attraverso l'arte del narrare, vi farà conoscere l'immenso potere della lettura approdando nella vera essenza dei libri.
Una conoscenza importante per chi ama leggere, che cambierà radicalmente il vostro approccio alla lettura.
"Secondo noi ci sono due modi di leggere i libri: seguire lo svolgimento della storia dalla prima all'ultima pagina per arrivare a conoscere il finale, oppure soffermarsi ad aprire tutte quelle porticine che lo scrittore dissemina lungo il percorso. E dietro ad ogni porticina ci può essere un consiglio da seguire, una lacrima da asciugare, o un sorriso da far brillare e dobbiamo sempre essere consapevoli che, se ci abbandoniamo al loro potere, i libri sono come una sorgente di acqua purissima a cui abbeverarsi per non dimenticare che la lettura è libertà". p. 55.
Buona lettura estiva!
dr.ssa Luana De Quattro, terapeuta familiare

martedì 28 luglio 2020

Galateo ed empatia nelle relazioni

Tra la gente in confusione
di quest'epoca un po' stanca
ci si accorge a proprie spese
che una certa forma manca.

Baci e abbracci son vietati
ci si guarda diffidenti
e restando ben distanti
le emozioni sono assenti.

Galateo è parola antica
degna di una vecchia zia
si recuperi al più presto
per diffondere empatia. 
Dario Amadei

È notizia di ieri (27 luglio 2020) su Forbes, che Adrian Cheng, miliardario di Hong Kong ambasciatore della cultura italiana, ha dichiarato: “Indossare la mascherina è galateo sociale”. Sono rimasta molto colpita da queste parole, perché esprimono un concetto che ho avuto in mente fin dall'inizio della pandemia, ma che non ero riuscita ad esprimere con la parola “galateo”. 
Avere corrette relazioni sociali, adottando parole e comportamenti consoni all'ambiente e al ruolo di ciascuno, rispettare usi e tradizioni, accogliere consapevolmente e avere a cuore persone e luoghi consente di vivere l'ambiente circostante e quello lavorativo in modo positivo e sereno. Salire su un autobus, entrare in un negozio, recarsi in un ufficio, in ospedale, in un ristorante, lavorare in una scuola richiedono da parte nostra atteggiamenti empatici che non dobbiamo dare per scontati, perché non sono abilità sociali innate, ma vengono apprese modellando ed educando la nostra intelligenza emotiva. 
La buona educazione è un concetto che purtroppo ha smarrito il suo significato, si è creduto (io no, sinceramente) che quanto ci è capitato ci avesse reso migliori ed invece non solo non è accaduto il miracolo, ma non ci stiamo neanche lontanamente avvicinando ad un qualcosa che sia simile al bon ton sociale. Ognuno di noi, però, nella propria bolla di realtà può iniziare a prendere lezioni di empatia e galateo per far sì che le relazioni sociali se ne possano giovare. Non è difficile, si può partire recuperando quelle semplici parole gentili come grazie, buongiorno, scusi che al momento hanno smarrito la strada di casa. Accendiamo la lanterna della gentilezza, ci sentiremo tutti migliori.
Elena Sbaraglia




giovedì 23 luglio 2020

Schegge di nati per raccontare: le artiterapie in dialogo con Viviana Rubichi

L'ottavo appuntamento della rubrica "Schegge di Nati per raccontare" è stato con Viviana Rubichi per conoscere l'importanza delle artiterapie.
Viviana Rubichi, docente presso l'università degli studi Guglielmo Marconi, è una nata per raccontare che ci farà scoprire le storie meravigliose e benefiche che si possono raccontare con le immagini.

martedì 21 luglio 2020

Elena Sbaraglia racconta Uno nessuno centomila per Radio Blog

«Che fai?» mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.
«Niente» le risposi, «mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.»
Mia moglie sorrise e disse: «Credevo ti guardassi da che parte ti pende.»
Uno degli incipit più famosi della letteratura italiana, quello di "Uno,nessuno centomila" di Luigi Pirandello.
Elena Sbaraglia ce ne parlerà a modo suo, raccontandoci il suo personale "incontro" con questo straordinario romanzo.
Buon ascolto!



Per contattarci: info@radioblognews.it
Musica tratta da www.incompetech.com

giovedì 16 luglio 2020

Schegge di Nati per raccontare: PerCorsi sensoriali in dialogo con Michela Zanarella

Il settimo appuntamento della rubrica "Schegge di Nati per raccontare" è stato con Michela Zanarella e i suoi PerCorsi sensoriali.
Michela Zanaralla è una nata per raccontare sensibile e attenta che attraverso i suoi incantevoli versi racconta di emozioni e di vita.

martedì 14 luglio 2020

I corpi che abitano gli spazi

In quest'epoca un po' strana per i bambini e in un certo senso invivibile, non si gioca più in strada, non si può più fare perchè le strade sono invase dalle macchine e da pericoli di ogni tipo... Chi come me ha avuto la fortuna di vivere l'esperienza libera dei giochi di strada può sapere quanto è stata importante per comprendere le potenzialità del proprio corpo e per imparare a gestirlo anche nella relazione con gli altri. In alcuni momenti ci si sentiva forti in una maniera invincibile, sani abbronzati dal sole e accarezzati dall'aria con qualunque tempo, perchè sia nel freddo che nel caldo si possono scoprire tesori. I pomeriggi dei bambini di oggi sono gestiti e scanditi da un'attivita sportiva in strutture organizzate (piscine e palestre) che per fortuna esistono, ma che purtroppo vengono inquinate spesso da un avviamento ad un'attività preagonistica/agonistica, o comunque incanalata in schemi rigidi, troppo precoce. Il gioco viene sostituito dal sacrificio, dalla competitività, dall'ansia di raggiungere un risultato a tutti i costi e il bambino non scopre più da solo le potenzialità del suo corpo che lo rendono assolutamente unico, perchè viene imprigionato in schemi che lo costringono a ripetere gesti e movimenti che gli vengono imposti come se fosse una marionetta. Cavalli selvaggi, mustang vengono trasformati in cavalli da circo che danzano sulla pista, polli ruspanti trasformati in polli allevati in batteria. Il corpo viene poi seppellito sotto strati di vestiti che lo mortificano anche in climi non rigidi come il nostro... Spesso incontriamo a scuola bambini con magliette a mezze maniche in pieno inverno che non provengono da Marte, ma da Paesi del Nord Europa dove hanno imparato a non mortificare la termoregolazione... E ci sono mamme apprensive che vorrebbero accompagnare i propri pargoletti in macchina sin dentro la classe temendo di vederli morire assiderati o affogati sotto la pioggia. Si può quindi facilmente comprendere quanto importante sia in questo campo il ruolo delle insegnanti e delle educatrici che devono seguire la crescita del bambino permettendogli di scoprire liberamente la sua corporeità. Importantissimo è anche stimolare la manualità del bambino, spesso soffocata dall'utilizzo sbagliato di dispositivi elettronici, con l'uso di piccoli strumenti e con giochi fatti con ciò che è a portata di mano, che saranno una difesa contro l'uso ossessivo dei videogiochi. 

Queste riflessioni sono precedenti alla pandemia che stiamo vivendo, ma sono così tremendamente attuali, perché oggi più che mai i bambini e i ragazzi sono quelli che maggiormente stanno soffrendo l'immobilità a cui siamo stati tutti costretti. Nella fase della ripresa non si può in alcun modo prescindere da una proposta che viaggi nella direzione del rispetto e dell'avere cura dei messaggi provenienti dal corpo che sono alla base di un'educazione che contrasta i problemi causati dall'ipocinesia. 
Tutto ciò è previsto già nei nidi e nelle scuole dell'infanzia che pianificano le progettualità tenendo conto dei tempi e dei modi di tutti i bambini, accettando ed apprezzando le diversità etniche, culturali, linguistiche, ma anche le ridotte abilità di compagni meno dotati, che spesso sono vissute dai singoli come barriera, come ostacolo e, talvolta, con senso di rifiuto. Perché non ci dimentichiamo che il linguaggio del corpo è anche uno strumento di comunicazione e di relazione. Quando anni fa portammo il mimometro all'interno dei nostri progetti in biblioteca, ci consideravano un po' folli, ma la narrazione passa anche attraverso il corpo e non c'è momento più entusiasmante di quando si lasciano liberi i bambini di interpretare, con la loro corporeità, la storia che hanno appena raccontato. Fateci caso, la prima cosa che fanno i bambini quando entrano in un ambiente è abitarlo, spostando le sedie o altri oggetti per avere la giusta dimensione del movimento dei loro corpi. Quando andranno prese decisioni sul futuro della formazione dei ragazzi, ricordiamoci di permettere loro di vivere, con il proprio corpo, tutte le esperienze possibili, di scoprirne le varie parti che lo compongono, di sperimentare i vari movimenti nello spazio con tempi e ritmi diversi, da soli, con gli altri e con o senza oggetti. Perché se è vero che in questo particolare momento drammatico, i social e i mezzi informatici in genere hanno accorciato le distanze fisiche, sono strumenti che non potranno mai sostituirsi alle relazioni umane.
Dario Amadei e Elena Sbaraglia

lunedì 13 luglio 2020

Dario Amadei racconta "Le fiabe" dei fratelli Grimm per Radio Blog

Ascoltando questo interessante audio di Dario Amadei sulle fiabe dei fratelli Grimm, scoprirete che le fiabe come ve le avete sempre sentire raccontare sono una versione diversa e ben più edulcorata di quelle originali, nelle quali non c'era affatto tanta bontà! Non ci credete? 
Ascoltate questo audio e rimarrete stupiti!


Per contattarci: inf@radioblognews.it
Musica tratta da www.incompetech.com

giovedì 9 luglio 2020

Schegge di Nati per raccontare

Schegge di Nati per raccontare, una nuova rubrica in diretta facebook riservata a tutti i nati per raccontare





Rivedi la puntata su L'insostenibile leggerezza del comunicare con Ludovica Valori


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domenica 7 giugno 2020

Finalmente è arrivata la primavera di Francesca Romana Giannetti

Finalmente è arrivata la primavera, gli uccellini cantano, il sole splende, i fiori sbocciano e il cielo è sempre più blu, la tempesta si è placata. Io, in questa quarantena, ho riscoperto molte cose, tra cui la "pace" e la mia fanciulezza spesso negata. Ho approfondito molte cose stando in casa da sola con la mia famiglia, innanzitutto che non mi devo far mettere in difficoltà da chi fa la voce grossa, perché sono troppo educata, poi che la vita è una e non te la ridà più nessuno, infine non devo aver paura delle persone che si arrabbiano o si offendono, ho formulato il mio motto: "non mi importa, se qualcosa mi infastidisce lo dico". Ho appurato che non devo permettere agli altri di trattarmi come fossi da meno di loro solo perché ho delle piccole difficoltà motorie.
Le persone possono arrivare in alto benissimo, anche io ci posso arrivare con quattro cose: determinazione, volontà, sapienza e scaltrezza. Perché come dice Corman McCartney (scrittore e drammaturgo statunitense) "è così che fanno i buoni. Continuano a provarci. Non si arrendono mai". In questa quarantena ho imparato a studiare meglio di prima, grazie a mia madre e alla prof Carlini che mi hanno seguito costantemente. Ho scoperto delle qualità che non sapevo di avere grazie a me stessa, ad esempio con la tesina per l'esame di stato della terza media che sto prepando con entusiasmo e serietà, l'unico mio vero dispiacere è per matematica, dove ero arrivata in alto solo con qualche ripetizione, ma purtroppo per me ora non è più possibile farle. Non ho molta paura del virus, perché per prima cosa basta semplicemente seguire le regole costantemente, senza mai arrendersi e seconda cosa mi sono creata una teoria, cioè covid 19 è venuto al mondo per tentare di aiutarci e riallacciare la vita con l'amore facendoci stare in casa. E quindi stando dentro la propria abitazione si possono scoprire nuovi hobby o potenzialità, ad esempio ho scoperto che fare arte mi aiuta molto a scaricare e trasmettere le mie emozioni. Spero che anche altre persone si siano fermate un attimo a pensare a quanto sia bella la vita in armonia, anziché con i nostri piccoli egoismi, violenze e guerre, perché come diceva Martin Luther King "abbiamo imparato a volare come uccelli, a nuotare come pesci, ma non abbiamo imparato l'arte di vivere come fratelli".
Francesca Romana Giannetti

giovedì 28 maggio 2020

Nati per raccontare: l'approccio Lok


Mi chiamo Filomena Lok, ho 26 anni e sono, senza dubbi, una #nataperraccontare. Lettrice accanita e inguaribile ricercatrice di storie sin dalla prima infanzia (ogni notte supplicavo mamma e papà di inventare qualche storiella, ricattandoli, in caso contrario, di non andare a nanna), a 18 anni ho scoperto il meraviglioso mondo Magic BlueRay, grazie ad un regalo molto speciale da parte di un mio caro zio: il Corso di Scrittura Creativa Step by Step. Avanzando nella mia intrigante storia d’amore con libri, storie e parole, decido di intraprendere un percorso universitario che possa coniugarsi in qualche modo con questa mia indole innata. E allora perché non allargare gli orizzonti ed esplorare gli universi linguistici di altre lingue? Ecco. La Facoltà di Lingue, Letterature Straniere e Traduzione, è ciò che fa per me. Dalla Triennale alla Magistrale, i miei studi proseguono brillantemente: ogni giorno scopro qualcosa di entusiasmante, e la lingua mi seduce, mi ispira, tremendamente fascinosa, con i suoi universi inesplorati, le sue inafferrabili sfaccettature. Guardandomi attorno però, mi accorgo all’improvviso che c’è qualcosa che non va. Come mai altri studenti, colleghi, amici non se la spassano come me? Questo interrogativo diventa ancora più incombente, quando inizio la mia esperienza da insegnante. Comincio a notare che i miei alunni rabbrividiscono davanti alla parola grammatica; entrano in crisi perché non ricordano cosa abbinare alle etichette passato remoto, simple past, pretérito indefinido, pluscuamperfecto, present perfect, futuro anteriore, e così via. Mi guardano disorientati, e a tratti terrorizzati quando chiedo loro -come si racconta una storia in italiano-? Il generale sconfortante mal di lingua che mi circonda inizia a preoccuparmi, attanaglia la mia mente, irrompe nei miei sonni e nei miei sogni. Com’è possibile? Poi, all’improvviso, l'epifania. 
Stavo approfondendo alcuni risultati della mia tesi di ricerca sui Segnali Discorsivi nel parlato spontaneo Italiano e Spagnolo, quando ad un tratto mi accorgo che la risposta era in quelle righe. Gli studi sostengono che questi item linguistici sono incontrollabili e inconsapevoli; ma i miei dati parlavano chiaro: i parlanti sono in grado di usarli sistematicamente per realizzare effetti stilistici o soddisfare esigenze socio-interazionali. Mostrano cioè, di saperli usare con consapevolezza. Consapevolezza metalinguistica. Ecco, questa è la risposta che cercavo. 
La strumentalizzazione dell’apprendimento delle lingue a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni oscura e annienta gli aspetti piacevoli e motivanti di questa incredibile avventura. Quante volte ascoltiamo osservazioni come “Eh ormai senza l’inglese, non si fa più niente”, “Eh ora, se non sai almeno due lingue straniere, non sei nessuno”. Le esigenze esterne legate al mondo lavorativo e scolastico, dipingono le lingue straniere come “cose che bisogna sapere” per adempire requisiti, per ottimizzare il curriculum, per accumulare punti in graduatoria. “Devo studiare inglese o spagnolo perché devo prendere la certificazione, superare l’esame, non farmi rimandare, andare bene alla verifica.”, sono le risposte dei miei alunni al “quiz di ingresso”. In questa ottica gli apprendenti di tutte le età vivono l’esperienza di imparare una lingua, come la meccanica acquisizione (il più delle volte memoriale) di pacchetti di conoscenza pre-confezionati, senza i quali non sono conformi alle richieste esterne. È indubbio che la competenza poliglotta oggigiorno sia estremamente necessaria, ma questa visione “utilitaristica” è il primo grande ostacolo ad esperienze di apprendimento serene, rilassate e soprattutto comunicativamente di successo. Da qui nasce l’idea dell’Approccio Lok. Accanto alla motivazione proveniente dagli obiettivi esterni (o per utilizzare un tecnicismo della scuola psico-pedagogica, estrinseci), risvegliare negli apprendenti il piccolo innato linguista che giace assopito, in attesa di essere sollecitato. 
Gli studi sul plurilinguismo e l’inter-comprensione, suggeriscono che la lingua madre è il primo e più potente strumento che possediamo per imparare altre lingue, al contrario della tendenza cosiddetta nativespeakerism, che impone un distacco innaturale dalla propria lingua di partenza per raggiungere il livello ideale di competenza del parlante nativo. Il primo passo per imparare una lingua straniera è conoscere la propria lingua, in profondità. Come? Attraverso la consapevolezza metalinguistica: osservare l’uso della lingua, esplorare, andare oltre la superficie linguistica e scoprire come le parole si collegano tra di loro, e come queste relazioni, a loro volta, trovano il loro perché nel mondo circostante. Da qui muoversi in seguito verso la lingua che vogliamo imparare, creare un dialogo tra le due, sorprendersi di fronte alle differenze, incuriosirsi dinanzi alle analogie, riflettere criticamente. Non si può pretendere di imparare un’altra lingua, se facciamo un uso inconsapevole e totalmente meccanicistico della nostra. 
Arrivati a questo punto, la mia storia di insegnante e linguista si ricongiunge con quella da #nataperraccontare. Quale terreno migliore per approcciarsi alla metariflessione linguistica se non la scrittura creativa, visto che il 90% della nostra esperienza quotidiana linguistica è fatto di “racconti”? Attraverso la tecnica Step by Step di Dario Amadei, come ho sperimentato io stessa, gli apprendenti imparano a padroneggiare i processi della narrazione; allo stesso tempo, con l’Approccio Lok sono guidati nell’esplorazione consapevole dei mezzi linguistici che usano per percorrere la rampa. Risvegliano, lentamente il linguista assopito che attende impaziente. Parallelamente, procedono alla stesura di un racconto in inglese o spagnolo, mettendo in gioco le risorse riscoperte e riattivate e consolidando così i mezzi linguistici della comunicazione narrativa anche in lingua straniera. In questo modo, stimolando la creatività, la competenza interlinguistica si potenzia, e imparare una lingua diventa un’avventura tutta da scoprire e… raccontare!
Filomena Lok Locantore

domenica 17 maggio 2020

I 10 anni di Magic Blueray

Non è facile raccontare in poche parole e con poche immagini i dieci anni di Magic, ci abbiamo però provato in questo video che parla di noi





Dario Amadei e Elena Sbaraglia

www.magicblueray.it

giovedì 14 maggio 2020

La metafora del sottomarino giallo nei servizi educativi

Viviamo tutti in un sottomarino giallo 
Sottomarino giallo, sottomarino giallo
E i nostri amici sono tutti a bordo
Molti altri vivono accanto
E la band inizia a suonare
(Beatles - Yellow submarine)

Quando negli anni settanta ascoltavo “Yellow submarine” dei Beatles il cuore mi si riempiva di gioia e percepivo con tutto me stesso che un futuro radioso mi stava attendendo. Non avrei mai immaginato che quel famoso sottomarino cinquant'anni dopo, durante i giorni tristi e grigi del Coronavirus, sarebbe diventato una metafora potente, capace di trasmettere dei messaggi importanti e di indicare una via di salvezza. 
Ad esempio, nelle scuole e nei nidi che vengono troppo poco nominati dall'opinione pubblica, la soluzione per riprendere l'attività potrebbe essere proprio salire su dei piccoli yellow submarine in grado di affrontare impavidi il mare infestato dal Coronavirus. 
Innanzitutto il sottomarino è giallo e questo porta bene e spinge all'ottimismo, perché è del colore della bandiera un tempo conosciuta come bandiera di “quarantena” con cui si dichiarava che tutto l’equipaggio era in buone condizioni di salute e si richiedeva il permesso di dirigere all’ormeggio in un porto straniero. 
Immagino ogni piccolo gruppo di bambini con le sue educatrici o insegnanti, salire a bordo del suo sottomarino che sarà a tenuta stagna, niente potrà entrarci dall'esterno e non ci saranno contatti con gli altri equipaggi. Questo permetterà di limitare e controllare la diffusione del contagio, prendendo ovviamente degli accorgimenti all'interno degli spazi, che verranno semplicemente guardati con occhi diversi, senza che questo possa scatenare turbe o nevrosi. In questo modo, parafrasando i Beatles, gli amici saranno tutti a bordo, molti altri navigheranno accanto in sicurezza e finalmente la band ricomincerà a suonare perché non possiamo permettere che i nostri bambini appassiscano nel silenzio. 
Dario Amadei

martedì 12 maggio 2020

La filosofia del sole di Michela Zanarella

Con grande piacere vi annunciamo l'uscita del nuovo libro di poesie di Michela Zanarella. 
Che sia la nostra poetessa preferita è cosa nota, ma ci piace ripeterlo tutte le volte che possiamo e questa volta ci sembra l'occasione giusta per invitarvi a farvi abbracciare e illuminare dalle sue parole.
"Innamorarsi significa
radunare l’alba negli occhi."
Dalla quarta: "C'è tanto sole in questi nuovi versi di Michela Zanarella, un sole splendente, che rinnova il rapporto della poetessa con il mondo, che muta l'originario sguardo malinconico e a volte addirittura triste, in un qualcosa di dinamico, in un invito, fatto prima a se stessa e poi agli altri, a scendere a patti con i problemi della vita, affrontarli, viverli con ardore, col fiato caldo, nella dimensione di chi ha scoperto l'infinito e ci può entrare senza avere paura di nulla."

La filosofia del sole, Michela Zanarella, Ensemble edizioni

Intervista Nati per raccontare

Dario Amadei ed Elena Sbaraglia in dialogo con Laura Catini su Nati per raccontare, Castelvecchi editore, ospiti della pagina Mystery Artroom


lunedì 20 aprile 2020

Il potere delle conversazioni nei primi anni di vita

Chi ci conosce e segue da anni, sa quanto la scelta di intitolare il nostro libro Nati per raccontare non sia affatto casuale, perché senza alcun dubbio, crediamo da sempre nell'immenso potere della narrazione orale. Non solo, siamo sempre stati fermamente convinti che raccontare sia un'esigenza primaria di fondamentale importanza per lo sviluppo della persona. Pertanto, stimolando precocemente il pensiero narrativo nei bambini, si potenzia anche il loro pensiero logico e quello critico, come ci insegna la neuroeducazione che negli ultimi anni sta svolgendo un ruolo importantissimo in pedagogia. 
La neuroscienziata e pediatra Kimberly Noble definisce ambiente linguistico di una famiglia il numero di parole ascoltate dai bambini e il numero delle conversazioni a cui partecipano ogni giorno e ritiene che questa sia per loro l'esperienza più utile a sviluppare il connettoma e a migliorare la capacità di apprendimento. Secondo la Noble, nei primi anni di vita, i bambini avvantaggiati ascoltano in media trenta milioni di parole in più rispetto ai loro coetanei svantaggiati. I bambini, sollecitati da conversazioni attive, tendono ad avere una maggiore estensione delle aree responsabili delle abilità linguistiche e di lettura. È importantissimo, quindi, facilitarli alle conversazioni piuttosto che al solo ascolto. 
L'economista Irene Tinagli dice che il maggior divario cognitivo si ha nella fascia di età al di sotto dei cinque anni; è in questa fase che i bambini iniziano ad apprendere parole e linguaggi, a sviluppare e “organizzare” le attività cerebrali e cognitive e, soprattutto, a interagire col mondo esterno, acquisire socialità, curiosità e sicurezza in sé stessi. Ed è in questo periodo che il background familiare e le scelte educative fanno la differenza... Se dalle università escono il 15% di professionisti, dall’infanzia esce il 100% del nostro futuro. 
In Spiriti animali, Akerlof e Shiller scrivono: «La mente umana è progettata per pensare in termini narrativi: sequenze di eventi con una logica e una dinamica interna che ci appaiono come un’unità di senso compiuto. [...] La conversazione umana, come sottolineavano Schank e Abelson, tende ad assumere la forma di racconto reciproco». È capitato a tutti: quando una persona sta raccontando una storia, l’altra che ascolta pensa a una storia correlata che racconterà a sua volta e si innescherà così uno scambio di storie tra i due interlocutori, come se stessero giocando una partita di tennis. Solo in apparenza casuali, queste narrazioni reciproche, in realtà, rinforzano e sono centrali per l’intelligenza, perché hanno il potere di animare l’azione umana. Capita più spesso di quanto si pensi e a volte in maniera involontaria, di zittire i bambini nel momento in cui vogliono entrare nella conversazione con un adulto che sta parlando e questo è un errore che può causare grandi inibizioni nel bambino che possono rimanere salde nei suoi comportamenti futuri. Un esempio per noi molto bello da riferire è quando, nei nostri laboratori scolastici paragoniamo, la narrazione alla discesa lungo una scala molto ripida e i bambini, in seguito a questo stimolo, iniziano spontaneamente a raccontare le loro esperienze di scale molto ripide in una maniera meravigliosamente inarrestabile. Fermare queste conversazioni sarebbe catastrofico, non solo per la riuscita del laboratorio, ma soprattutto per l'autostima e la fiducia che i bambini in questi momenti stanno sperimentando. Purtroppo abbiamo assistito a tante situazioni, anche durante presentazioni di libri, in cui gli adulti stoppano sul nascere il dialogo che un bambino vorrebbe iniziare e su questo auspichiamo davvero un'attenzione maggiore da parte di tutti. 
Nel capitolo di Nati per raccontare che abbiamo dedicato all'educazione attraverso la narrazione, si può leggere che l’intelletto dei bambini, stimolato precocemente attraverso dalle storie, diventa più vivace e inoltre educare al racconto potenzia la personalità e genera apertura mentale. I rapporti interpersonali in ambito familiare, scolastico, professionale e sociale migliorano grazie a una narrazione condivisa che riesce a interpretare i sentimenti, i valori, i bisogni reciproci e ad attivare la fiducia, un elemento essenziale nella costruzione del proprio sé e nella percezione dell’altro. Dare fiducia alle narrazioni che ispirano renderà il mondo migliore. 
Dario Amadei e Elena Sbaraglia

*Nati per raccontare, Castelvecchi editore, 2020

sabato 18 aprile 2020

Sentirsi parte di una comunità durante e dopo l'emergenza

Tra il dolore per la solitudine, l'inimmaginato che è diventato realtà e il coraggio di guardare oltre, questa emergenza mondiale che stiamo vivendo ha sicuramente messo l'accento su un dato innegabile, cioè quello del senso di appartenenza, che forse è la risposta che serve alle incertezze che si vivono nel privato e nel lavoro. Abbiamo sempre fatto parte di una comunità, ma in questo periodo la sentiamo fortemente nostra perché psicologicamente ci sostiene. In questo preciso momento storico, siamo una grande famiglia allargata, perché il singolo individuo percepisce di essere maggiormente esposto al pericolo ed invece nella comunità sente di potersi esprimere in obiettivi condivisi e di poter contare su una solidarietà spontanea. In questo particolare momento storico, l'identità comunitaria non si crea con il contatto fisico, ma virtuale e questo basta, perché come diceva lo psicologo Seymour Sarason è la percezione della similarità con gli altri che fa sentire di appartenere ad una struttura affidabile in cui riconoscersi. Ed è così che assistiamo a case editrici che adottano librerie, ad industrie della moda che riconvertono la loro produzione, a professionisti che mettono a disposizione degli altri il loro talento, a educatori ed insegnanti che si rimodellano digitali per mantenere le relazioni e il lavoro con i loro allievi, a tutta la comunità medico-scientifica che, ininterrottamente, lavora per la nostra salute, alle singole persone che si organizzano in piccoli nuclei per dare sollievo ad altri con quello che hanno, alla comunità della filiera produttiva che in questo momento non ci ha fatto mancare i bisogni primari e alla comunità delle forze dell'ordine che ci fanno sentire al sicuro. È questa autorganizzazione spontanea che ci fa essere una comunità che non lascia solo nessuno nel momento del bisogno. 
Nel nostro nuovo libro “Nati per raccontare”, uscito a febbraio di quest'anno, in un capitolo affrontiamo l'importanza di sviluppare il senso di appartenenza in ambito professionale come fonte di benessere e ora più che mai, nel pensare al dopo pandemia, è fondamentale occuparsene con costanza e impegno, perché si tornerà nei luoghi di lavoro con un carico emotivo non indifferente. La società moderna post emergenza richiede, in tutti gli ambiti, ma soprattutto in quello organizzativo, nuove strategie di adattamento e rinnovamento, nonché la capacità per chi lavora di riuscire a reinventarsi per inserirsi in situazioni che mutano continuamente.
Tutti i contesti lavorativi (fabbriche, open-space, servizi educativi per l'infanzia, scuole, ospedali, istituzioni) devono essere luoghi deputati al benessere dove ricaricarsi, comunicare, crescere e formarsi per riuscire a ottimizzare anche la produttività. Gli strumenti in cui noi crediamo, utili a instaurare questo clima organizzativo, sono naturalmente la bibliolettura interattiva e la narrazione creativa, perché stimolano e sviluppano l’intelligenza emotiva di chi ne fruisce. Concedersi il piacere di leggere, condividere ciò che si è letto e narrativizzare delle storie è salutare. Leggere sicuramente riduce lo stress, come ci spiega il neuropsicologo David Lewis: “non importa che tipo di libro si scelga di leggere, perdersi nella lettura di un qualsiasi testo coinvolgente consente di evadere dalle preoccupazioni e dallo stress quotidiano. È più di una semplice distrazione, parliamo di un’attività che coinvolge l’immaginazione perché le parole stampate sulla pagina stimolano la creatività e fanno entrare in uno stato di coscienza parallelo”. La facilità di immedesimarsi nelle storie che si leggono migliora i livelli di coinvolgimento emotivo e la capacità di ascolto e di analisi, rendendo efficaci i rapporti tra i colleghi. Chi trascorre il tempo dedicandosi ai romanzi dimostra apertura e una notevole flessibilità mentale e si sente a proprio agio con le ambiguità, perché la lettura agevola il processo di comprensione delle varie informazioni acquisite. Queste qualità, o skills, naturalmente si riflettono nell’ambiente lavorativo, dando alla persona quella sicurezza nel prendere le decisioni più utili ai fini esecutivi. Non solo nelle classi scolastiche, ma anche nei contesti lavorativi, i gruppi si trovano a vivere delle dinamiche che la narrazione creativa e la bibliolettura interattiva, andando a stimolare i punti giusti, possono aiutare ad affrontare.
Sempre attraverso i romanzi, si può ragionare sulla leadership, o si può indagare la menzogna o l’inganno per riflettere sulla scelta delle persone di fiducia, ma soprattutto i romanzi possono accendere quelle scintille che generano la creatività e fortificano l’identità. Seguendo le orme indelebili di Adriano Olivetti, ogni organizzazione dovrebbe dar vita a una biblioteca aziendale, è un investimento che tornerà utile al capitale umano oltre che ai profitti. La chiave per capire se esiste o meno una cultura, ci direbbe Edgar Schein, è cercare la presenza di esperienze condivise e di un comune bagaglio culturale.
Elena Sbaraglia


*Nati per raccontare, Castelvecchi editore, 2020

lunedì 30 marzo 2020

Si parla di "Nati per raccontare" di Dario Amadei ed Elena Sbaraglia

Su Radio Blog

Tutti abbiamo storie da raccontare e con la bibliolettura, Dario Amadei ed Elena Sbaraglia, ci insegnano a farle emergere ed a capire l’importanza che hanno nelle nostre vite, perchè tutti siamo “Nati per raccontare”.
È da pochissimo uscito infatti, per le Edizioni Castelvecchi, il loro nuovo libro ed oggi su Radio Blog News, dopo la presentazione degli autori, ve ne leggiamo un pezzettino!!!
Buon ascolto!
Voce: Chiara Pugliese Musica: www.bensound.com Per contattarci: info@radioblognews.it

martedì 17 marzo 2020

Restiamo in contatto














In questi giorni le riflessioni sono inevitabili, bussano a tutte le ore e non si può lasciarle fuori dalla porta. Ce n'è una in particolare che mi torna spesso in mente e allora ho deciso di metterla per iscritto, sollecitata anche dall'articolo di Maria Piera Ceci «Il prof ti viene a prendere attraverso la webcam» che per il Sole24Ore ha intervistato la mitica professoressa Daniela Lucangeli, psicologa dello sviluppo e prorettrice dell’università di Padova, sulla situazione della didattica a distanza che le scuole di tutta Italia, di ogni ordine e grado, si sono trovate e vivere.
«La tecnologia» dice «invece di essere qualcosa che sostituisce la presenza del professore, è qualcosa che consente la presenza del professore. (…) La tecnologia che fa la tecnologia e non che fa qualcosa al posto nostro. A cui non viene più affidato il compito di impegnare il nostro tempo e di risolvere le nostre difficoltà, ma la tecnologia in cui l’umano utilizza un mezzo per arrivare all’altro umano.» Come non essere d'accordo. Quello che ci è capitato, da un mese a questa parte, è qualcosa di inimmaginabile che destabilizza tutti, a prescindere dal ceto, dalla professione, dalla cultura, siamo tutti nel gigantesco frullatore, per citare Dario Amadei, che è stato acceso contro la nostra volontà, ma che inevitabilmente ci risucchia inermi nel suo vortice. Per non stare solo a guardare gli avvenimenti accadere e per non perdere di più di quanto perderemo, ecco che per la maggior parte delle professioni, soprattutto quelle scolastiche, è stato attivato lo smart working o lavoro agile ed ecco che insegnanti di ogni ordine e grado riempiono i loro dispositivi con vari software per permettere la tanto idealizzata didattica a distanza. Il pensiero, però, che da dieci giorni bussa alla mia porta non è tanto l'efficienza o meno di questo lavoro agile, quanto le menti dei giovani e giovanissimi che sono stati, giustamente, allontanti da un luogo, diverso dall'ambiente protetto di casa, che per loro non è solo negativo (compiti, interrogazioni, incomprensioni di vario tipo) ma aggregativo, in cui diventano grandi, in cui sviluppano il pensiero critico, l'autonomia, in cui sperimentano emozioni positive e negative che fanno crescere. E questo avviene solo grazie al confronto umano con l'adulto di riferimento e con i compagni con cui si relazionano. Più i bambini sono piccoli più il bisogno di un'educazione umanizzata è imprescindibile e insostituibile, ma anche per i ragazzi più grandi il contatto diretto è fondamentale. Se l'insegnante, la famiglia, il ragazzo non sono smart così come li vorrebbe la tecnologia, la possibilità di sentirsi “abbandonati” non è così difficile e quello che mi auguro più di tutto è che tutti noi adulti che lavoriamo con i ragazzi, a diverso titolo, ci facciamo trovare pronti a sostenerli e ad abbracciarli quando tutto questo sarà finito, perché il trauma vissuto in questo momento potrebbe essere significativo e da non sottovalutare.
Elena Sbaraglia, psicologa, operatrice culturale


sabato 7 marzo 2020

Si parla di Nati per Raccontare

#libri ModulazioniTemporali

L’avvento dell’era informatica comporterà la scomparsa del libro, o quanto meno del suo formato cartaceo. I nuovi libri si leggeranno comodamente sullo schermo del tablet o del computer...Questo scenario, ormai non più avveniristico, ha fin dall’inizio provocato una reazione da parte degli estimatori del libro tradizionale, tra i quali oggi possiamo annoverare due difensori agguerriti della sua insostituibilità, Dario Amadei e Elena Sbaraglia, che insieme hanno scritto “Nati per raccontare. Dalla narrazione creativa alla biblioterapia” (Castelvecchi editore, Roma 2020, pp. 109, euro 14, 50).
Recensione di Luciano Albanese continua a leggere

venerdì 21 febbraio 2020

Nati per raccontare Castelvecchi editore

Dal 20 febbraio in libreria "Nati per raccontare. Dalla narrazione creativa alla biblioterapia" di Dario Amadei e Elena Sbaraglia

Raccontare una storia è un bisogno primario, un’esigenza naturale ma non scontata, una pratica quotidiana che spesso tendiamo a trascurare. È, dunque, necessario riappropriarsi della capacità di narrare, e lo si può fare grazie a un metodo innovativo, largamente sperimentato e di facile apprendimento. È quello proposto da Dario Amadei ed Elena Sbaraglia, che nella loro decennale carriera, ispirandosi alla biblioterapia anglosassone, hanno codificato i principi della narrazione creativa da un punto di vista pedagogico, neurofisiologico ed esperienziale.

Quest’opera è un punto di partenza per comprendere che il libro non è solo un oggetto, ma un prisma capace di riflettere pensieri ed emozioni, e che la lettura e la scrittura non sono sterili fatiche, ma attività in intimo contatto con il nostro io più sommerso.