sabato 18 aprile 2020

Sentirsi parte di una comunità durante e dopo l'emergenza

Tra il dolore per la solitudine, l'inimmaginato che è diventato realtà e il coraggio di guardare oltre, questa emergenza mondiale che stiamo vivendo ha sicuramente messo l'accento su un dato innegabile, cioè quello del senso di appartenenza, che forse è la risposta che serve alle incertezze che si vivono nel privato e nel lavoro. Abbiamo sempre fatto parte di una comunità, ma in questo periodo la sentiamo fortemente nostra perché psicologicamente ci sostiene. In questo preciso momento storico, siamo una grande famiglia allargata, perché il singolo individuo percepisce di essere maggiormente esposto al pericolo ed invece nella comunità sente di potersi esprimere in obiettivi condivisi e di poter contare su una solidarietà spontanea. In questo particolare momento storico, l'identità comunitaria non si crea con il contatto fisico, ma virtuale e questo basta, perché come diceva lo psicologo Seymour Sarason è la percezione della similarità con gli altri che fa sentire di appartenere ad una struttura affidabile in cui riconoscersi. Ed è così che assistiamo a case editrici che adottano librerie, ad industrie della moda che riconvertono la loro produzione, a professionisti che mettono a disposizione degli altri il loro talento, a educatori ed insegnanti che si rimodellano digitali per mantenere le relazioni e il lavoro con i loro allievi, a tutta la comunità medico-scientifica che, ininterrottamente, lavora per la nostra salute, alle singole persone che si organizzano in piccoli nuclei per dare sollievo ad altri con quello che hanno, alla comunità della filiera produttiva che in questo momento non ci ha fatto mancare i bisogni primari e alla comunità delle forze dell'ordine che ci fanno sentire al sicuro. È questa autorganizzazione spontanea che ci fa essere una comunità che non lascia solo nessuno nel momento del bisogno. 
Nel nostro nuovo libro “Nati per raccontare”, uscito a febbraio di quest'anno, in un capitolo affrontiamo l'importanza di sviluppare il senso di appartenenza in ambito professionale come fonte di benessere e ora più che mai, nel pensare al dopo pandemia, è fondamentale occuparsene con costanza e impegno, perché si tornerà nei luoghi di lavoro con un carico emotivo non indifferente. La società moderna post emergenza richiede, in tutti gli ambiti, ma soprattutto in quello organizzativo, nuove strategie di adattamento e rinnovamento, nonché la capacità per chi lavora di riuscire a reinventarsi per inserirsi in situazioni che mutano continuamente.
Tutti i contesti lavorativi (fabbriche, open-space, servizi educativi per l'infanzia, scuole, ospedali, istituzioni) devono essere luoghi deputati al benessere dove ricaricarsi, comunicare, crescere e formarsi per riuscire a ottimizzare anche la produttività. Gli strumenti in cui noi crediamo, utili a instaurare questo clima organizzativo, sono naturalmente la bibliolettura interattiva e la narrazione creativa, perché stimolano e sviluppano l’intelligenza emotiva di chi ne fruisce. Concedersi il piacere di leggere, condividere ciò che si è letto e narrativizzare delle storie è salutare. Leggere sicuramente riduce lo stress, come ci spiega il neuropsicologo David Lewis: “non importa che tipo di libro si scelga di leggere, perdersi nella lettura di un qualsiasi testo coinvolgente consente di evadere dalle preoccupazioni e dallo stress quotidiano. È più di una semplice distrazione, parliamo di un’attività che coinvolge l’immaginazione perché le parole stampate sulla pagina stimolano la creatività e fanno entrare in uno stato di coscienza parallelo”. La facilità di immedesimarsi nelle storie che si leggono migliora i livelli di coinvolgimento emotivo e la capacità di ascolto e di analisi, rendendo efficaci i rapporti tra i colleghi. Chi trascorre il tempo dedicandosi ai romanzi dimostra apertura e una notevole flessibilità mentale e si sente a proprio agio con le ambiguità, perché la lettura agevola il processo di comprensione delle varie informazioni acquisite. Queste qualità, o skills, naturalmente si riflettono nell’ambiente lavorativo, dando alla persona quella sicurezza nel prendere le decisioni più utili ai fini esecutivi. Non solo nelle classi scolastiche, ma anche nei contesti lavorativi, i gruppi si trovano a vivere delle dinamiche che la narrazione creativa e la bibliolettura interattiva, andando a stimolare i punti giusti, possono aiutare ad affrontare.
Sempre attraverso i romanzi, si può ragionare sulla leadership, o si può indagare la menzogna o l’inganno per riflettere sulla scelta delle persone di fiducia, ma soprattutto i romanzi possono accendere quelle scintille che generano la creatività e fortificano l’identità. Seguendo le orme indelebili di Adriano Olivetti, ogni organizzazione dovrebbe dar vita a una biblioteca aziendale, è un investimento che tornerà utile al capitale umano oltre che ai profitti. La chiave per capire se esiste o meno una cultura, ci direbbe Edgar Schein, è cercare la presenza di esperienze condivise e di un comune bagaglio culturale.
Elena Sbaraglia


*Nati per raccontare, Castelvecchi editore, 2020

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