Quando ci siamo dentro è difficile uscirne, e
soprattutto renderci consapevoli. Perché in qualche arcana maniera conosciamo
la verità, ma preferiamo non dischiuderla a noi stessi, perché abbiamo paura.
Dare libero sfogo alla nostra primordiale essenza, al nostro puro essere ci
terrorizza. E allora ci creiamo le prigioni.
Temiamo la mutabilità, ci ancoriamo all’abitudine,
alla sicurezza. Ci muriamo nei castelli della nostra mente, visto che ciò che è
al di là delle mura di cinta ci fa tremare; e allora prediligiamo la
confortevole consuetudine di professare la libertà, mentre in realtà, stiamo
erigendo, mattone dopo mattone, la nostra peggiore galera.
Nel pozzo sepolto, giace muta la certezza di essere
ammanettati, eppure optiamo ogni nuova mattina, ogni notte di sconforto, per
l’illusione di vivere la vita che desideriamo. Scegliamo di persuaderci che
tutto sia esattamente come lo vorremmo, e che ci troviamo nel posto dove
desidereremmo essere. E così facendo, ci allontaniamo via a gambe levate: via
dalla meritevole conoscenza, via dalla realistica essenza, via da noi stessi.
È un po’ come l’attimo in cui devi attraversare la
strada, e non ci sono semafori a infonderti rassicurazione. Guardi, e riguardi,
e pensi, aspettando l’attimo meno rischioso; le auto sono ancora troppo
lontane, anzi neanche ne vedi l’ombra, eppure c’è qualcosa che blocca la pianta
dei tuoi piedi, una super potente colla vinilica che ti tiene in trappola tra
l’ansia di raggiungere il marciapiede opposto e l’insinuante pensiero di essere stroncato da un pirata della
strada. Forse è tutto inconscio, ma questo meccanismo agisce, e ti incatena. E
mentre le tue mani sudano a freddo, i tuoi insidiosi pensieri manipolano la
realtà, e la sponda di fronte a te appare sempre più irraggiungibile, tic toc,
tic toc, il tempo scorre, e una nuova paura si insedia sinuosamente nei meandri
della tua mente: ti accorgi, disperato, di essere in procinto di perdere il
bus. L’orchestra della tue testa continua a suonare con eleganza paranoiche
sinfonie. E il paradosso accade: una nuova paura scaccia quella vecchia e
finalmente ti lanci sulle strisce pedonali. In quel momento non ti sei
liberato, anzi hai aggiunto un altro mattone alla tua cella: il tuo coraggio è
fittizio. E nel frattempo, scopri deluso che hai anche perso l’autobus, e senza
di quello non potrai mai arrivare puntuale all’occasione della tua vita.
Perché? Perché senza un dispositivo meccanico che ti suggerisca il momento
perfetto per attraversare ti senti perso. Sapete da dove nasce l’appellativo
pirati della strada? Beh, la risposta è ovvia: non rispettano il codice della
strada, quindi figuratevi se una luce verde o rossa faccia la differenza.
Eppure hai lasciato condizionare te stesso e la tua esistenza da un pensiero
tenebroso, e futile. È ciò che accade quotidianamente, ed in ogni momento: la
paura guida le nostre azioni, i nostri desideri, i nostri modi di fare. Siamo
incastrati in meccanismi impercettibili e non vogliamo rendercene conto, e
questa stessa consapevolezza, piuttosto che darci stimoli per liberarci, ci
rende ancora più prigionieri. E allora l’unica soluzione, per raggiungere il
marciapiede opposto è lanciarsi, naturalmente scrutando a destra e a manca con
consapevolezza e pienezza, ma senza bombardarsi la mente e distruggere la
realtà, ed imparare così a vivere senza semafori!
Filomena "Lok" Locantore
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