sabato 29 marzo 2025

Decostruire gli stereotipi di genere al nido: il potere trasformativo degli albi illustrati

Nel contesto educativo del nido, ogni esperienza, relazione o oggetto comunicativo contribuisce alla costruzione dell’identità del bambino. In questo delicato e potente processo, anche i libri assumono un ruolo fondamentale. In particolare, gli albi illustrati rappresentano uno strumento pedagogico prezioso per accompagnare bambine e bambini in una crescita libera da stereotipi, offrendo nuove narrazioni, immagini e modelli possibili di sé e dell’altro.
Infanzia e identità di genere: un processo in divenire
La costruzione dell’identità di genere ha inizio già nei primi anni di vita, attraverso un insieme complesso di esperienze, osservazioni e interiorizzazioni. I bambini, fin dalla più tenera età, ricevono messaggi più o meno espliciti su ciò che “è da maschio” o “da femmina”. Questi messaggi possono essere veicolati da parole, gesti, giochi, vestiti, ma anche – e forse soprattutto – dalle storie che ascoltano e dalle immagini che vedono.
La ripetizione di ruoli convenzionali – la principessa da salvare, il cavaliere coraggioso, la mamma premurosa, il papà lavoratore – contribuisce a costruire un immaginario rigido e limitante. L’educazione al nido ha il compito, e l’opportunità, di spezzare questa catena, offrendo contesti narrativi e relazionali aperti, plurali e non stereotipati.
Albi illustrati: strumenti educativi per l’equità
Gli albi illustrati, per loro natura, parlano al bambino attraverso due linguaggi fondamentali: quello visivo e quello narrativo. Le illustrazioni colpiscono direttamente l’immaginazione e creano mondi possibili; le parole accompagnano, amplificano o contrastano il messaggio visivo, aprendo spazi di riflessione.
Scegliere albi illustrati che rappresentano personaggi fuori dagli schemi tradizionali – bambine avventurose, bambini sensibili, famiglie variopinte, ruoli fluidi – significa seminare nel bambino la possibilità di riconoscersi in modalità differenti da quelle imposte dalla cultura dominante. È un gesto educativo di responsabilità e cura.
La lettura condivisa come spazio pedagogico
La lettura ad alta voce, soprattutto in contesti come il nido, non è mai un atto neutro. È un incontro tra adulti e bambini, mediato dalla narrazione. Quando un’educatrice legge un albo con attenzione, intonazione e partecipazione, crea uno spazio di relazione che stimola l’ascolto, l’identificazione e la scoperta.
In questo spazio, le storie diventano strumenti per esplorare emozioni, ruoli, relazioni e desideri. L’adulto può fare domande, stimolare osservazioni, accogliere interpretazioni: “Che cosa pensi di questo personaggio?”, “Ti è mai capitato qualcosa di simile?”, “Avresti fatto la stessa scelta?”.
Scegliere con cura: una responsabilità pedagogica
Non tutti gli albi sono adatti a un’educazione libera da stereotipi. Alcuni, anzi, perpetuano modelli rigidi, con ruoli e comportamenti legati al genere in modo implicito o esplicito. Per questo, è importante che le educatrici e gli educatori si formino in modo critico, imparino a leggere anche tra le righe e si dotino di strumenti per selezionare albi coerenti con una prospettiva di genere inclusiva.
Tra i criteri utili per la scelta:
• Protagonisti/e non convenzionali
• Rottura degli schemi familiari tradizionali
• Linguaggio non sessista e inclusivo
• Storie che valorizzano diversità, collaborazione, empatia.
All’interno del Nido Peter Pan il gioco simbolico si è rivelato una potente chiave educativa per promuovere lo sviluppo dell’identità, delle relazioni affettive e della libertà di espressione nei bambini e nelle bambine. Il progetto documentato, frutto di osservazioni quotidiane e riflessioni pedagogiche, affronta in modo concreto e sensibile il tema degli stereotipi di genere nella prima infanzia, mostrando come già dai primi anni di vita sia possibile costruire contesti educativi accoglienti, liberi da pregiudizi e capaci di stimolare il pensiero critico.
Il potere delle storie: la maglietta rosa
Tutto ha preso forma a partire da un episodio reale e spontaneo: un bambino,si bagna la maglietta durante un’attività e l’educatrice gli fa indossare una maglietta rosa, l’unica asciutta disponibile. Alla vista del padre, questo semplice gesto diventa oggetto di stupore e imbarazzo. La risposta del bambino, però, è disarmante: “Ma papà, è rosa come l’amore!”.
Un’affermazione tanto semplice quanto potente, che racchiude il senso più profondo dell’intero progetto: educare alla libertà significa permettere ai bambini e alle bambine di essere ciò che sono, senza vincoli imposti da aspettative sociali o culturali.
Il gioco simbolico come specchio dell’esperienza vissuta:
Attraverso l’osservazione sistematica del gioco simbolico nelle varie sezioni del nido (Piccoli, Medi e Grandi), gli educatori e le educatrici hanno potuto rilevare come i bambini, indistintamente dal genere, utilizzino gli oggetti e gli spazi messi a disposizione per esplorare il mondo e le relazioni.
Cucine, bambole, culle, travestimenti, macchinine, trenini: ogni oggetto diventa strumento per rielaborare esperienze, affetti, ruoli. I bambini allattano le bambole, le mettono a dormire, si travestono, si prendono cura degli altri. Lo fanno con naturalezza, senza preconcetti, imitando i gesti degli adulti in un gioco che è al tempo stesso scoperta e costruzione di sé.


L’importanza dell’atteggiamento educativo
Uno degli elementi centrali di questo percorso è stata la riflessione sul ruolo dell’adulto. Le educatrici, osservando i bambini, hanno osservato anche sé stesse. Accogliere significa mettersi in ascolto autentico, rinunciare a giudizi preconfezionati e creare uno spazio in cui ogni bambina e ogni bambino possa esprimersi liberamente.
Il nido, quindi, non è solo un luogo di cura e apprendimento, ma diventa terreno fertile per un’educazione affettiva, sociale e culturale. Un luogo in cui si leggono storie che parlano di emozioni, di uguaglianza, di diversità. Un luogo in cui si impara che i colori non hanno genere, e che ogni gesto di cura è universale.
Educare alla parità: un atto politico e culturale
Questo progetto ci ricorda che l’educazione alla parità non è un obiettivo da rimandare alla scuola primaria o all’adolescenza, ma una semina quotidiana che inizia fin dai primi anni di vita. Attraverso il gioco, le relazioni, le parole, gli sguardi.
Come recita una delle citazioni conclusive del documento:
“Stimolare i desideri delle bambine e dei bambini, educare al rispetto e alla libertà di poter essere ciò che si sceglie è importante già dal nido.”
In un mondo ancora attraversato da disuguaglianze e stereotipi, esperienze come questa ci indicano una direzione chiara: educare alla libertà significa educare al rispetto, all’empatia, all’autenticità. E questo comincia proprio lì, dove tutto ha inizio: nel gioco.
Gli albi condivisi e utilizzati durante il progetto:
1. Una bambola per Alberto – C. Zolotow, C. Delacroix – Ed. Giralangolo
Un albo che mostra come la cura e la dolcezza non abbiano genere: un bambino desidera una bambola per allenarsi a diventare un buon papà.
2. Il trattore della nonna – A. Roveda, P. Domeniconi – Ed. Giralangolo
La nonna è esperta di trattori e crostate: una figura femminile fuori dagli stereotipi.
3. Anche i papà piangono – C. Ravizza, S. Covelli – Ed. Sassi
Un albo che valorizza l’espressione emotiva nei papà: “Anche i papà hanno un cuore colmo di emozioni!”
4. Uno di questi non è come gli altri – Barney Saltzberg – Ed. Salani
Un inno all’inclusione e alla bellezza delle differenze.
5. Ci sono bambini e bambine – Cristina Petit – Ed. Valentina
Un invito a mescolarsi e scoprirsi uguali e diversi allo stesso tempo.
6. Evviva le unghie colorate – Alicia Acosta – Ed. Nube Ocho
Un bambino ama mettersi lo smalto: il piacere dei colori va oltre il genere.
7. Nei panni di Zaff – M. Salvi, F. Cavallaro – Ed. Fatatrac
Zaff gioca con bambole e sogna di fare il ballerino: un racconto sulla libertà di espressione.
8. Tea e Marcello carota e pisello – M. Hood – Emme Edizioni
Due bambini diversi che si completano: Tea non è un pisello, Marcello non è una carota.
9. Chi sono? – Caroline Dell’Ava – Ed. Terre di Mezzo
Un albo poetico sull’identità mutevole, legata al momento e alle emozioni.
10. Io sono foglia – A. Mozzillo, M. Balducci – Ed. Bacchilega
Ogni giorno possiamo essere diversi: accettarsi e accogliere le emozioni.
11. I cinque malfatti – B. Alemagna – Ed. Topipittori
Essere imperfetti può renderci unici e felici.
12. La prima volta che sono nata – V. Cuveillière, C. Dutertre – Ed. Sinnos
Una riflessione poetica sulle tappe della crescita e dell’identità.
13. Piccolo uovo – F. Pardi – Ed. Lo Stampatello
Alla scoperta delle diverse tipologie di famiglia, tutte felici e valide.
Angela Melillo 

sabato 22 marzo 2025

IMPARANDO A RACCONTARE E RACCONTARSI

“Nella Scuola sulla Collinetta bambine e bambini hanno appena finito di fare merenda; se una persona entrasse in classe in quel momento, potrebbe facilmente intuirlo già solo dalle briciole di crackers che colorano di pallini gialli il marmo secolare del pavimento. E non c’è nulla da fare; questi pallini sono proprio impertinenti, perché, per quanto la maestra tenti di spazzarli via, ecco che spuntano nuovamente. Sembra proprio che abbiano delle zampette agili e veloci che si prendono beffa della scopa!
Finalmente è tempo di giocare e, mentre si conclude il ripristino, c’è già qualcuna e qualcuno pronta e pronto a scegliere quale avventura inventare, o in quale storia partecipare.
Nei cinque minuti che precedono i numerosi inizi, inutile dire che frastuoni e schiamazzi fanno da accompagnamento sonoro all’allegra atmosfera, ma poi, dal momento in cui tutti i giochi prendono forma, quel disordine rumoroso si acquieta e ad un ascolto attento e ad uno sguardo curioso e perspicace non possono certo sfuggire quelle sfumature e quei dettagli che rendono la fantasia uno spettacolo irresistibile. C’è chi costruisce sulla pedana un palazzo di dieci piani con le costruzioni; chi schiera su un tavolo due file di dinosauri e li prepara ad uno scontro preistorico all’ultimo grido; chi invece, al tavolo di fronte, si diletta con la tombola delle stagioni; chi, nell’angolo sotto la finestra dalla quale si vede passare il treno (quello vero!), sta costruendo una ferrovia sui cui binari viaggiano delfini, squali e balene, e chi si è nascosto dietro ad alcune sedie e si sta raccontando un segreto.
Luna tiene tra le mani il libro che ha portato questa mattina, gliel’ha regalato ieri suo padre e non riesce a separarsene. Eva e Lorenzo le chiedono di poterlo leggere insieme sulla panchetta; lei da subito sembra restia, poi, però, acconsente a patto che a sfogliare le pagine sia solo lei. La maestra, dopo essersi arresa alla resistenza dei pallini gialli, si è seduta al tavolo rotondo per aiutare Alessio che sta provando a fare l’incastro della fattoria, quello che proprio non riesce a completare e, mentre lo incoraggia a scrutare le estremità dei tasselli, non può fare a meno di ascoltare come Luna racconti il libro alla sua amica e al suo amico, come moduli la sua voce per imitare la bambina protagonista e come si impegni a ricordare quelle frasi e quelle parole apprese solo da un paio di giorni. La lettura di Luna è veramente suggestiva, tanto che le si avvicinano anche Paolo, Elisa, Fabian e Stella, e senza dire nulla, si mettono per terra vicino alla panchetta e, seduti a gambe incrociate, ascoltano Luna che narra la “storia di Priscilla”.
Elisa è entusiasta e, appena la sua compagna chiude il libro, si precipita dalla maestra per chiederle di leggere Priscilla quando faranno il ‘cerchio’. La maestra, però, ha capito che questo libro ha un valore speciale per Luna e risponde ad Elisa affermando che, se la sua compagna vorrà, avrà piacere di leggerlo alla classe, anzi potrebbero farlo anche insieme, dal momento che ne ha imparato quasi tutte le frasi. Elisa, allora, torna da Luna e le chiede se le va di leggere la storia di Priscilla insieme alla maestra durante il Cerchio Magico. Luna, quindi, si gira subito verso la maestra con aria titubante, ma, ricevendo nello stesso istante il suo sorriso rassicurante, le mostra il libro e le dice: “Che lo puoi leggere dopo, quando ci mettiamo ‘sedie a cerchio’ e io mi siedo vicino a te?”


Quella maestra potrei essere io, e come me, tutte quelle educatrici, educatori ed insegnanti convinte e convinti che le storie e i racconti siano la chiave per intessere una rete pedagogica funzionale e significativa.
Io sono Maestra Giulia e mi piace pensare che dove finiscono la mia voce, i miei occhi, le mie orecchie e i miei gesti, iniziano le parole di un racconto, quelle scritte in oggetti magici come gli albi illustrati, ma anche e soprattutto quelle che narrano le storie dell’affascinante mondo che è l’io individuale di bambine e bambini. Non mi riferisco, però, solo alle parole che si presentano nei ruscelli cristallini di chi ha l’irrefrenabile voglia di farle scorrere libere in una trasparenza disarmante; esistono storie anche in quelle parole che si nascondono nelle ombre di una voce acerba, in una pausa prolungata e accompagnata da profondi sospiri, in un sorriso che riempie un intero viso, nelle goccioline salate che rendono liquidi due occhi che sbattono le palpebre per mandarle via.
Il Racconto è un orizzonte di senso, è un luogo non luogo della conoscenza, un Iperuranio di possibilità che si districano in un processo continuo di scoperta, immaginazione e confronto, perché è nel Raccontare e nel Raccontarsi che l’essere umano ed in particolar modo bambine e bambini fanno esperienza di sé e di chi orbita intorno la loro persona. Attraverso la narrazione si aprono stanze illuminate da accecanti significati che non possono essere oscurati dalla frenesia di un fare compulsivo caratteristico dell’agire adulto; i significati dei racconti vanno accolti, presi per mano, alcune volte persino presi in braccio, vanno stretti in un contatto di ascolto e fiducia, vanno protetti dalle intemperie della superficialità e dall’esigenza data dall’uniformare, dal semplificare, dal dover tradurre ogni pensiero in concetti omologamente riconosciuti.
La narrazione è un potente strumento di esplorazione emotiva, è un canale in cui si mescolano affluenti di segreti, confidenze, aneddoti, dolori, traumi, che non sempre sono espressi in una versione manifesta e chi, come me, decide di essere un custode emotivo, non può non fare i conti con un senso di responsabilità che pulsa ogni qual volta una bambina e un bambino si mette a bordo di una zattera e attraversa quel canale, il suo canale, dove può imbattersi in una cascata o, anche solo in una piccola rapida, e scopre di aver bisogno di un giubbotto di salvataggio. Non è detto, però, che debba necessariamente navigare su acque impetuose, potrebbe aver bisogno di aiuto per riflettere la sua immagine nella limpidezza di un fiume amico. Essere custodi emotivi significa sapersi muovere con leggerezza, dinamicità e destrezza nello sfondo di esperienze possibili che si delineano nella dimensione cognitivo-sensoriale del Racconto; significa essere libere e liberi da fardelli stereotipati, da ostacoli pregiudizievoli, da aspettative inopportune che minano la sincerità di Storie autentiche e spontanee.
Sono un’insegnante di Scuola dell’Infanzia del Comune di Roma da circa dieci anni, ma mi esercito ad essere una custode emotiva sufficientemente buona da diversi anni; ho iniziato ascoltando le storie che mi raccontavano le bambine e i bambini nelle case-famiglia e nei centri di accoglienza, quando ancora non sapevo mettere filtri e mi facevo spugna della tristezza e della speranza di ciascuna e ciascuno di loro. Poi, però, ho deciso di cambiare rotta e di intraprendere un viaggio di crescita professionale e personale, percorrendo i sentieri policromi che la dimensione scolastica mi avrebbe destinato ed imparando a riservare uno spazio inevitabile e puntuale al Racconto, al mio racconto individuale, al racconto delle parole scritte e a tutti quei racconti espressi e celati dalle bambine e dai bambini.
Tra i cinque campi d’esperienza delle Indicazioni Nazionali per la Scuola dell’Infanzia sono presenti due sfere d’indagine che legittimano la continua attenzione pedagogica dedicata al Racconto, ovvero, I Discorsi e le Parole e Il Sé e l’Altro, sfere d’indagine che si estendono nell’ampia finalità educativa rivolta allo sviluppo dell’Identità, che a sua volta si esprime all’interno di un orizzonte di senso affine, di un caleidoscopico sfondo di condizioni ed esperienze possibili rappresentato dalla Relazione. Come educatrice d’infanzia ed insegnante il mio obiettivo educativo è di creare un movimento dialettico tra questi elementi, di tracciare un itinerario che metta in comunicazione aspetti le cui entità rivelino la propria efficacia in una connessione reciproca e continuativa e credo di poter affermare che il contesto che si presta in modo più congeniale a questa comunione di intenti sia inevitabilmente il Racconto.
Luna chiede alla maestra di poter leggere la storia di Priscilla quando si fossero messe/i sedie a cerchio, ovvero quando sarebbe giunto il momento della routine, buona pratica, strategia educativa, metodologia didattica, tutte definizioni corrette per descrivere quello che a me ed altre esploratrici ed altri esploratori narrativi piace chiamare Cerchio Magico.
Bambine e bambini sono invitati a fare il Cerchio, e questo termine è, appunto, la metafora educativa per rappresentare la circolarità che caratterizza le relazioni: il legame individuale che ciascuna bambina e ciascun bambino stringono con l’insegnante, il rapporto della classe con la figura educativa di riferimento, le relazioni che intercorrono tra bambine e bambini, non necessariamente piacevoli ed esclusive, anzi, spesso dinamiche conflittuali tendono ad evidenziare maggiormente il loro carattere circolare. Nel cerchio si assorbono gli spigoli e si allungano le braccia, poggiandosi sulle spalle della propria vicina o del proprio vicino vicendevolmente, dove potersi sentire sicure e sicuri e riconoscersi come parte indivisibile e unica di un Tutto leale e protettivo.
Ho avuto la fortuna di imparare a condurre il Cerchio Magico da degli esperti della narrazione emotiva, due professionisti che trasformano questo strumento in un’occasione di scoperta, immaginazione e confronto per accogliere con entusiasmo e delicatezza il pensiero e la creatività delle bambine e dei bambini, invitandoli a prendere posto al ricevimento delle loro emozioni.
Elena Sbaraglia e Dario Amadei non sono solo due tra i più coinvolgenti ed appassionati Formatori di Roma Capitale, sono due pionieri della narrativa emotiva ed i loro insegnamenti, nonché il loro esempio, costituiscono per me e per numerose educatrici e insegnanti il vero stimolo a considerare il Racconto la più redditizia delle opportunità educative in termini di identità, relazione ed autostima.
Ecco perché ogni giorno non siamo solo educatrici, educatori ed insegnanti; nei nostri Cerchi Magici, infatti, siamo anche e soprattutto Cacciatrici e Cacciatori di Storie, dove le Storie non sono altro che spazi privilegiati in cui stare e da cui poter risalire per spingersi il più possibile alla ricerca del proprio discorso interiore e, nello stesso tempo, del discorso dell’io altrui.

“La maestra invita le bambine e i bambini a sedersi, mentre Luna continua a stringere il suo libro a sé.
-Maestra, che ci leggi il libro di Luna?- afferma euforica Elisa.
-Se Luna è d’accordo, mi farebbe molto piacere!-risponde cauta la maestra. Luna, allora, posiziona la sedia vicina a quella dell’insegnante e appoggia l’albo sulle gambe. Dopo numerosi solleciti a prendere posto, finalmente l’inevitabile cigolio delle sedie e l’esuberante vocio insistente iniziano a placarsi; è allora che le compagne e i compagni orientano la loro curiosa attenzione su Luna che, cercando lo sguardo complice della maestra, si rivolge alla classe e pronuncia l’inesorabile frase: - cosa vediamo nella copertina di questo libro?
Lorenzo: c’è una bambina con un cespuglio in testa tutto rosso fuoco.
Eva: sembra ‘Ribelle’.
Elisa: macchè ‘Ribelle’, quella c’ha i capelli più lunghi e più arancioni!
Alessio: e poi mica è la storia del cartone, quella era di cavalieri, questa invece mi pare una bambina.
Stella: a me Ribelle non mi sta simpatica, però neanche questa, a me mi sembra che è arrabbiatissima.
Paolo: è arrabbiata perché gli hanno bruciato i capelli, guarda come vanno a fuoco!
Manuel: forse chiamano i pompieri!
Stella: sì sì è arrabbiata, forse perché hanno scarabocchiato il suo disegno.
Elisa: sembra che ha una nuvola di rabbia in testa.
Paolo: gli si vede pure la gola.
Eva: no quella è la tonsilla.
Luna, allora, afferma - Questa è Priscilla e sì, è molto arrabbiata perché deve andare alla festa di Carnevale e non riesce a trovare il suo scettro perché è una regina, e siccome non lo trova, non può essere una vera regina e quindi si arrabbia tantissimo e i capelli iniziano a bruciarsi!-
La maestra aggiunge: - Vi ricordate Roberto che era così arrabbiato da sputare fuori quella cosa grossa grossa e tutta rossa, A Priscilla invece si bruciano i capelli… E invece la vostra rabbia come è fatta?-
Il libro non è ancora stato letto, ma i pensieri di bambine e bambini hanno iniziato a danzare in un libero gioco con la loro immaginazione e le loro emozioni.”

Giulia Iuliano, insegnante scuola dell'infanzia








venerdì 14 marzo 2025

La sfida dell’inclusione attraverso gli albi illustrati

L’unicità dell’inclusione...
Il potenziale inclusivo degli albi illustrati!
La sfida dell’inclusione attraverso gli albi illustrati.
L’inclusione è un principio fondamentale dell’educazione contemporanea, che mira a garantire a ogni bambino e bambina pari opportunità di apprendimento, indipendentemente dalle proprie caratteristiche personali, sociali o culturali. Nella scuola dell’infanzia, questo principio si traduce nella creazione di ambienti accoglienti e stimolanti, in cui ciascun bambino possa sentirsi valorizzato e parte integrante della comunità.
Uno degli strumenti più efficaci per promuovere l’inclusione a questa età è l’albo illustrato. Grazie alla combinazione di immagini evocative e testi semplici, gli albi illustrati rappresentano un potente mezzo per affrontare temi legati alla diversità, all’empatia e all’accettazione dell’altro.
Gli albi illustrati pertanto offrono molteplici vantaggi per favorire l’inclusione nella scuola dell’infanzia:
1. Accessibilità linguistica e cognitiva
Le immagini giocano un ruolo fondamentale nell’accesso alla narrazione, permettendo anche ai bambini con difficoltà linguistiche o bisogni educativi speciali di comprendere e partecipare attivamente alla lettura. Questo rende l’albo illustrato uno strumento adatto a classi eterogenee, in cui la padronanza della lingua può variare.
2. Rappresentazione della diversità
Gli albi illustrati possono offrire modelli positivi di diversità, presentando protagonisti con disabilità, appartenenti a culture diverse o con famiglie non tradizionali. Questo aiuta i bambini a riconoscere e accettare le differenze come parte naturale della società.
3. Sviluppo dell’empatia
Le storie illustrate permettono ai bambini di immedesimarsi nei personaggi e nelle loro emozioni. Attraverso la narrazione, i piccoli lettori imparano a comprendere le esperienze degli altri e a sviluppare atteggiamenti di rispetto e solidarietà.
4. Promozione del dialogo e della condivisione
La lettura condivisa di un albo illustrato stimola la discussione e la riflessione. Gli insegnanti possono utilizzare i libri come punto di partenza per affrontare temi importanti, incoraggiando i bambini a esprimere le proprie opinioni e a confrontarsi con punti di vista diversi.
Per sfruttare al meglio il potenziale inclusivo degli albi illustrati, gli insegnanti possono adottare alcune strategie:
• Selezionare libri che rispecchino la diversità della classe, in modo che ogni bambino possa riconoscersi nelle storie e sentirsi rappresentato.
• Leggere ad alta voce con espressività, per coinvolgere i bambini e facilitare la comprensione del testo.
• Porre domande aperte e stimolare la riflessione, chiedendo ai bambini cosa pensano dei personaggi e delle loro esperienze.
• Utilizzare attività creative collegate al libro, come disegni, giochi di ruolo o drammatizzazioni, per approfondire i temi trattati.
Gli albi illustrati sono strumenti preziosi per affrontare la sfida dell’inclusione nella scuola dell’infanzia. Attraverso storie coinvolgenti e immagini suggestive, aiutano i bambini a sviluppare empatia, rispetto e consapevolezza della diversità. L’uso consapevole di questi libri da parte degli insegnanti può contribuire a creare un ambiente scolastico più accogliente e inclusivo, in cui ogni bambino si senta valorizzato e parte della comunità.
Alla scuola infanzia Montarsiccio si è sperimentato che l’utilizzo di un albo illustrato non è solo una semplice lettura ma una pratica educativa che utilizza la lettura e il confronto sui libri per favorire lo sviluppo emotivo, cognitivo e sociale dei bambini nella scuola dell’infanzia. Questa metodologia non si limita alla semplice lettura di storie, ma coinvolge i bambini in un dialogo attivo con il testo, stimolando riflessioni, emozioni e interazioni significative. Attraverso la lettura di storie che affrontano temi come la paura, la rabbia, la tristezza o la gioia, i bambini imparano a riconoscere e comprendere le proprie emozioni. L’interazione con i personaggi e le situazioni narrative aiuta i piccoli a identificarsi con le esperienze raccontate e a trovare strategie per affrontare le difficoltà della vita quotidiana. Inoltre, attraverso domande aperte e attività legate alla lettura, si sviluppa il pensiero critico e la capacità di fare collegamenti tra la storia e le proprie esperienze. Attraverso la magia dei libri e il confronto con gli altri, i piccoli imparano ad affrontare le proprie emozioni, a costruire relazioni significative e a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che li circonda.
Angela Melillo