Alexandra Censi è nata a Gyula,
in Ungheria, ma vive a Roma da quando aveva pochi anni. Nella città di Roma
studia Lettere. Ha pubblicato "La risata dei mostri" per Nottetempo,
nella collana narrativa.it curata e diretta da Chiara Valerio.
Michela
Zanarella la incontra per un'intervista nella rubrica
"Confidenzialmente".
D- "La risata dei
mostri" segna il tuo esordio nel mondo della narrativa. Cosa ti ha portato
a scrivere questo romanzo e ad avvicinarti alla scrittura?
R- Non saprei con precisione. Ho
ricordi confusi sulla genesi di questo libro, nella mia testa è una specie di
mostro mitologico. Iniziai a scrivere con l'intento di non scrivere niente.
Volevo settanta, ottanta pagine di bella lingua e di niente di più. Volevo
descrivere la mente di una persona, e la città che la ingloba, andando avanti
ad allucinazioni. Non dovevano essere i piedi o una trama ben costruita a
portare avanti la struttura del libro: il libro doveva essere l'avanzare di una
palla di luce arancione. Così è stato, ma poi ci si affeziona ai personaggi, a
quelle strane entità che conosciamo e non conosciamo. Allora mi sono domandata
sull'infanzia della protagonista, Francesca, e sul suo futuro. E la sua vita mi
è apparsa semplicemente, tutto si costruiva da solo. Quindi, la parte più, se
mi si permette, sperimentale è andata a costituire il nucleo centrale del
romanzo, “Le fascinazioni”. In cui, sostanzialmente, una donna non fa nulla se
non subire costantemente fascinazioni, una parola che all'epoca mi piaceva
molto perché non era né Bene né Amore, ma una via di mezzo molto più
pericolosa. Scrivere di Francesca è stato emozionante, perché tutto aveva un
senso senza che fossi io a darlo. Credo di essermi avvicinata alla scrittura
per un patto estetico e alla lettura per un bisogno fisico.
D-La risata dei mostri è il
romanzo di una donna, prima bambina, poi adolescente e infine adulta, che passa
dal fuoco dell’amore dei genitori alla cenere delle molte sigarette fumate col
suo ragazzo, alle braci di una vita matrimoniale stuzzicata da incontri reali
con amici virtuali.
Quale messaggio vuoi dare ai
lettori attraverso il tuo romanzo?
R- La mia non è una narrativa
di quelle che lancia messaggi. La mia narrativa vede, e dice. Punto.
Poi ovviamente possiamo trovare
vari temi che vengono affrontati nel libro, e forse queste tematiche possono indirizzare
il lettore verso qualcosa o qualcuno. Non so, dal tema più grande ed evidente,
ossia quello della predestinazione al male, fino a quelli più latenti, come un
ritorno incessante della letteratura, dell'arte, della psicoanalisi. Non mi
piacerebbe neanche mandare un messaggio ai lettori. Io non sono nessuno per
fare una cosa così importante, semmai sono le parole, solo loro, che possono
disturbare e piacere. Le parole, una volta scritte, non sono più mie, sono le
storie che si scrivono da sole, io sono parte passiva.
D-Vivi in uno dei quartieri più affascinanti di Roma, Monteverde, dove hanno vissuto grandi personaggi come Pier Paolo Pasolini, Giorgio Caproni, Gianni Rodari. Quali sono gli spazi del quartiere dove trovi ispirazione?
R- Non so cosa sia l'ispirazione.
Dietro ad un libro c'è lavoro, precisione tecnica. Non importa dove mi trovi,
ma ovunque posso osservare e, quindi, sublimare e rendere letteratura ciò che
mi circonda. Anche dire “ciò che mi circonda”, però, non è corretto. E' qualcosa
di più sottile, fatto di ogni piccolo incanto, ogni piccola delusione, ogni
piccolo sguardo. Che poi Monteverde sia effettivamente uno dei quartieri più
interessanti è innegabile. Mi piace passeggiare fino alla Stazione Trastevere,
passare di fronte agli ospedali. Mi piace guardare i negozi che si danno il
cambio, le persone. Il modo di vestire delle persone che cambia da strada a
strada. I contenuti delle borse della spesa. Quello che mi piace davvero è come
a distanza di pochi chilometri, di una ventina di minuti a piedi, Monteverde cambi
radicalmente e vada indietro nel tempo. Questo accade andando verso la
Magliana, zona Trullo. Lì il tempo non è lo stesso. La borghesia non c'è, la
puoi cercare quanto ti pare, ma non la troverai mai.
D-Alberto Moravia scrisse:
"La storia dell'umanità non è che un lungo sbadiglio di noia." Una
tua riflessione.
R-Non so in che ambito Moravia
disse questo. Avrà avuto le sue ottime ragioni. Moravia mi è sempre piaciuto
molto, è stato uno dei primi scrittori del Novecento che ho letto. Ma dubito
fortemente che la storia dell'umanità sia uno sbadiglio. Io credo fermamente
nella forza dell'uomo. Se guardiamo indietro nella storia, ci sono così tante
cose fantastiche, inverosimili, impensabili. Insomma, io guardo un frigorifero
e mi meraviglio, allo stesso modo in cui mi meraviglio pensando alle piramidi.
La guerra è una cosa potente, la nascita delle religioni lo è ancora di più, il
fatto che piccoli mammiferi come noi possano controllare la vita e negarla,
organizzarla, e possano allo stesso tempo amare, trovo che questo non sia
noioso. La risata può sembrare un libro pessimista, e forse lo è, ma non lo
sono io. Mi meraviglio di tutto, e mi annoia solo la solitudine che,
nell'umanità come essenza, non è contemplata.
D-Quali sono gli autori che sono
stati determinanti per il tuo percorso di autrice?
R-Non saprei, non credo che le
due cose vadino di pari passo. Se è vero che alcuni autori sono stati, in un
certo modo, determinanti per la mia scrittura, direi che si è trattato di un
processo nascosto, di cui io non so niente. E' vero che Svevo e Lorca compaiono
in questo libro in modo insistente, così come Gozzano o Dante. Ma solo perché
in quel momento erano perfetti, non perché siano le mie letture preferite. Sto
mentendo: Dante è il poeta italiano preferito. Se posso aggiungere: Rowling è
stata determinante per il mio percorso non di autrice, ma di vita. Il che è
decisamente meglio.
D-Progetti per il futuro?
R- Questa domanda mi fa
sorridere. Io ho 23 anni, quindi i miei progetti per il futuro sono facilmente
individuabili. Finire gli studi, continuare a subire fascinazioni, cercare di
vivere nella realtà e non chissà dove. Sto lavorando ad un nuovo libro, forse a
due, forse a tre. Continuo a scrivere, ma più per obbligo morale verso me stessa.
Devo sublimare quello che esiste per poterlo accettare.
Michela Zanarella
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