Accade alle
volte che il pedonale della Portuense non scatti mai, sembra di aspettare una
vita o due, vien voglia di tornare indietro due trecento metri per dirigersi a
quello precedente, di fronte al supermercato biologico, quello che si prenota
col pulsantino, pochi secondi e scatta, come per magia, ma ecco, proprio mentre
rare macchine sfrecciano veloci, e il camminatore solitario è affaccendato in
questi pensieri, il semaforo scatta senza preavviso: ora è verde, si può
attraversare.
Alle volte accade che sia domenica
mattina, magari una bella giornata di sole, nonostante la fine dell’autunno
vicina, accade che il camminatore solitario si trovi su di una strada larga e
lunga, tutta palazzotti e magri alberelli, piantati come coltelli sul cemento,
ora anche più magri (hanno perso quasi tutte le foglie rossastre catapultate
sull’asfalto), e nemmeno un negozio, solo un angolo commerciale con grande
catena ristoratrice, banca e centro privato di analisi cliniche : sequenza
commercialmente perfetta, viene da pensare al camminatore solitario, prelevare
al bancomat, abbuffarsi di cibo geneticamente modificato, e infine, con il
resto dei già pochi soldi a disposizione, correre a farsi un controllo
d’urgenza per complicazioni intestinali sopraggiunte, tutto a portata di mano.
Ma accade alle volte che la via percorsa
susciti un ricordo improvviso, al camminatore solitario ora potrebbe tornare in
mente, quella strada un tempo non era così, non c’erano palazzotti né
alberelli, né catene di ristoratori o banchieri, quella strada in discesa un
tempo era tutta campagna, se lo ricorda il camminatore, l’odore di rugiada
nelle fredde mattine d’inverno, il profumo d’erba bagnata quando all’alba aveva
piovuto, la mano di sua madre che lo accompagnava fino a scuola, le pecore
sullo spiazzale che attraversavano solo un po’ più in giù, non era tanto tempo
fa, gli anni delle sue scuole elementari, metà anni Ottanta forse, e quella
strada di periferia di Monteverde nuovo era così, campagna brulla, vergine.
Alle volte
accade di vivere nei ricordi, ora però basta col passato, bisogna vivere il
presente, i ricordi non sono mai veri, soltanto menzogne che il pensiero
racconta a se stesso, idealizzazioni di felicità mai accadute, nostalgie di
altezze mai raggiunte, e lo sa bene il camminatore solitario, ora che la
discesa è terminata, è arrivato dritto allo spiazzale della concessionaria,
l’orologio della farmacia potrebbe segnare mezzogiorno, si potrebbe addirittura
arrivare in tempo alla messa di don Giampiero (o almeno così potrebbe pensare, il camminatore solitario).
Ma invece di andare dritti si cincischia
(accade alle volte), così a zig zag, tra bambini che si danno il turno sulle
altalene, raggi di sole poco più forti che illuminano una piazzetta, laboriose
trattative di acquisti in un piccolo mercatino, trambusto lieve della domenica
mattina, così può accadere che il camminatore solitario arrivi alla messa in
ritardo, quando si è già arrivati all’omelia, don Giampiero è una specie di
piccolo don Milani, ora grida parole con enfasi dall’altare della sua piccola
parrocchia, una costruzione in legno in cui a malapena filtrano i raggi,
lontana dagli sfarzi kitsch di altre chiese della zona, si agita con
semplicità, chiama i ragazzi per nome, a volte li fa andare all’altare, altre
volte scende dal pulpito e va a cercarli lui, microfono alla mano, pone domande
importanti, pare che ora stia dicendo che Dio vuole comunicare davvero con
loro, che non dice “più tardi ti invio un sms”, oppure “whatsappiamoci”, che
vuole davvero entrare nel loro cuore, nonostante questo mondo tecnologico e
tecnocratico, chissà cosa capiranno delle sue parole quei ragazzi, studenti
delle medie o dei primi anni delle superiori, si starà chiedendo il camminatore
solitario, e però l’atmosfera che si respira in quelle quattro scarne mura gli
piace, è bella, sa di verità almeno per un’ora a settimana, per questo potrebbe
tornarci anche domenica prossima, chi lo sa.
Ma il camminatore solitario ora potrebbe
voler andare via, uscire fuori dalla chiesa all’improvviso, prima che finisca
la messa (alle volte accade), e all’uscita imbattersi in Evasio, avrà più di
cinquant’anni ormai, di domenica a quell’ora se ne sta sempre là, buttato a
terra, la motoretta scassata vicino, un tempo girava con una vespetta, ora ha
uno scooter bianco che sembra abbia fatto la guerra, lo conoscono tutti come
mezzapiotta, da decenni passa a chiedere spicci in giro per il quartiere, la
barba sempre lunga, i capelli sempre più ricci e alti sulla fronte, la tuta
sempre sporca, e pensare che un tempo era un brillante studente di medicina,
una famiglia benestante alle spalle, poi ha cominciato a farsi, a vivere così
alla rinfusa, pensa la vita che direzioni impreviste può prendere, viene da
dire fra sé e sé al camminatore solitario, lui è sempre incuriosito dalla
presenza di dettagli poco ordinari delle vite degli altri, ora potrebbe aver
voglia di avvicinare Evasio, fargli delle domande, sapere di più sulla sua
vita, magari anche realizzare una bella intervista e registrarla, ma come al
solito non ne avrà coraggio, probabilmente scapperà svoltando al primo angolo
dietro la piazzetta.
Accade alle
volte di preferire strade secondarie, evitare il frastuono delle arterie
principali, addentrarsi in vicoletti inaspettati, ogni volta che si percorrono
è una sorpresa, come adesso ad esempio, il camminatore solitario potrebbe aver
preferito la deviazione di vicolo della Serpe, il sole splendere un po’ più
forte e deciso, la stradina una stretta e sottile curva ad u, per qualche
minuto nasconde la città al camminatore solitario, casette da un lato, campagna
che nessuno sa dove porta dall’altro lato, ricorda la strada di Martino
Testadura, quella che nella favola di Rodari non porta da nessuna parte, qui
quando passa una macchina si avverte da lontano, ci si sposta sul lato
dell’erba stoppacciosa, non c’è spazio per due camminatori a vicolo della
Serpe, ora si è alzato anche un venticello leggero, scosta le foglie da terra,
fa cadere le ultime rimaste attaccate agli alberi, il camminatore solitario lo
avverte per un piccolo brivido alle spalle, ora un soffio improvviso un po’ più
forte, è arrivato quasi alla fine del
tunnel di alberi e foglie, la città sta per ricominciare, si capisce dal rumore
sordo dello sfrecciare delle macchine, un bidone stracolmo d’immondizia, uno
straniero che sta frugando dentro, una coppia che gli grida qualcosa contro in
romanesco, un dialogo che degenera presto in battibecco, poi turbine di
parolacce e insulti, il camminatore solitario potrebbe voler intervenire, dire
qualcosa, forse gli verrebbe di insultare a sua volta i due romaneschi ma non
lo fa, e poi non servirebbe a niente, non capirebbero, ora deve accelerare il
passo, andare oltre, ha una certa fretta, potrebbe già essere l’una passata, di
domenica a quest’ora scatta il coprifuoco, anche nei supermercati e nei centri
commerciali, già c’è poca gente in giro, il vento lieve è pure calato, il sole
velato da una nuvola innocua, le serrande dei palazzi mezze abbassate, l’atmosfera
è ferma, il pedonale della Portuense stranamente è già scattato, alle volte
accade.
(Alfredo
Tagliavia)
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